Di tutte le pene accessorie che potevano inventarsi, i giudici che hanno condannato Silvio Berlusconi gli hanno applicato la più perfida. L’estate ad Arcore. Niente di peggio per il Cavaliere abituato alle feste di Villa Certosa in Sardegna e alle spiagge da sogno delle Bermuda. Quest’anno, invece, gli è toccato restare al fresco (visto il clima) nel cuore della Brianza, lontano dal gossip ma anche dal cuore pulsante della politica romana. Che cos’è mai il capo di Forza Italia oggi, senza gossip e senza frequentazioni dei palazzi del potere? È un politico dimezzato anche nei voti che però tenta di fare ciò che gli avversari hanno accuratamente evitato nel ventennio berlusconiano: approfittare dei suoi lati deboli. La sinistra ha demolito il Cavaliere per via giudiziaria, non politica; non è mai riuscita a contrapporgli un credibile progetto alternativo; quando ha vinto le elezioni, vi è riuscita con alleanze simili ad armate brancaleone e per qualche pugno di voti. Ma per prendere il suo posto c’è voluto altro, cioè l’intervento del terzo potere.

Ora il segretario del Pd è pure capo del governo, cosa sfuggita sia a Veltroni sia a Bersani. Ha incassato un successo storico alle elezioni europee. Eppure l’esecutivo arranca, decide poco, è paralizzato dall’arroganza accentratrice del suo numero 1 e dalla pochezza del suo staff. Sel, con cui Bersani ha conquistato la maggioranza alla Camera ma non al Senato, vota sistematicamente contro il Pd. Il Ncd, che sarebbe la seconda gamba del tavolo di Renzi, è una bolla di sapone. L’Udc e Scelta civica sono bolle già scoppiate. I grillini dialogano soltanto con i tagliagole jihadisti dell’Isis. Al Pd, insomma, non resta che Silvio Berlusconi. Esempio da manuale di eterogenesi dei fini: dovevano farlo fuori per prenderne il posto, e ora per restarci devono tenerselo buono.

Ma il Cavaliere adotta la tecnica opposta a quella usata nel suo ventennio. Non delegittima l’avversario, non lo critica neppure quando sarebbe sacrosanto: se Silvio si fosse fatto i selfie sotto i gavettoni gelati o nelle missioni-lampo sui teatri di guerra, sarebbe stato impalato dai media. A Renzi invece tutto è concesso, anche da Berlusconi. In politica estera non si combina nulla? Colpa dell’Europa. Le riforme vanno a rilento? Colpa delle burocrazie ministeriali che si oppongono al cambiamento. La ripresa non arriva? Colpa delle tasse imposte da Monti e Letta.

La lunga estate al fresco di Arcore serve al Cav per preparare non la nuova «traversata del deserto», ma la definizione di una nuova immagine. Invece che andare a farsi spianare le rughe o piantare la nuova capigliatura, Berlusconi fa un lifting politico, cancella pretese ad personam e si ripresenta con una faccia rassicurante, l’argine agli estremismi di Sel e M5S, il puntello più solido dei partitini centristi, più concreto con le sue «agende» peraltro non richieste: su tutte, l’agenda economica e quella della giustizia. Perché il Cavaliere non è come i grillini che urlacchiano senza proporre: lui ha ricette sicure. Giù le tasse, nuovo mercato del lavoro e soprattutto ramazza con la magistratura.

La strategia autunnale di Silvio non prevede altre promesse ma ha obiettivi precisi da raggiungere, come la mano pesante sulle intercettazioni, l’altolà al ritorno del reato di falso in bilancio, la responsabilità diretta dei magistrati, l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Da Arcore il leader di Forza Italia è come se fosse sulla sponda del fiume cinese in attesa che passi il cadavere del nemico. «In autunno i nodi verranno al pettine», ripete a chi va a trovarlo nel suo ritiro brianzolo. E lui sarà lì, con la faccia nuova da padre della patria, a soccorrere il soldato Renzi per chiedergli il conto al momento di votare la riforma della giustizia.