Avete sempre pensato che la politica può cambiare il DNA delle persone – come accade a tutti coloro che diventano d’improvviso personaggi televisivi – ma non ne avete mai avuto le prove? È arrivato il vostro momento. Guardate ai due king-maker del momento, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. No, non Beppe Grillo, che ormai si è ridotto a cercare pubblicità sulle spiagge della Sardegna (ieri ha pontificato dall’isola della Maddalena) tra i “cumenda” brianzoli. Il balletto Renzi-Berlusconi ci consegna due figure in trasformazione, due leader diversi da come li abbiamo conosciuti finora.
Tra di loro ormai è vero amore, come dimostra il nuovo assetto alla Conferenza stato-regioni: al presidente Vasco Errani, tristemente dimissionario per la condanna legata alle falsità comunicate alla magistratura sui finanziamenti regionali alla coop presieduta dal fratello, è succeduto il neoeletto Sergio Chiamparino, Piemonte, fresco adepto renziano, e il suo vice è Stefano Caldoro, Campania, l’unico governatore regionale ormai rimasto a Forza Italia. La Lega ne ha due, Lombardia e Veneto, ma il patto Renzi-Berlusconi prevedeva diversamente.
Silvio e Matteo, dunque. L’uno ha sempre più bisogno dell’altro. Il premier ha necessità di una sponda affidabile nel cammino delle riforme su cui si gioca gran parte della credibilità europea, mentre perde Sel (con cui il Pd di Bersani aveva fatto liste comuni nel 2013) e non riesce a risolvere i problemi di tenuta interna. Il leader del centrodestra deve avere un altrettanto affidabile salvagente, visto che i voti – secondo i sondaggi – franano. Matteo, il sindaco arrogantello, il segretario che ha portato il Pd a superare il 40% alle europee, il premier che non guarda in faccia né gli alleati di governo, né la cancelliera Merkel, si tiene stretto Berlusconi: «È importante che stia al tavolo della riforma elettorale così come è stato a quello per la riforma costituzionale: un segnale importante, di serietà del sistema», ha detto il capo del governo dall’Egitto. Quando parla del Cav, Renzi è una persona diversa da quella che spara battutine su Grillo in streaming e tratta i partner europei come pivelli delle istituzioni comunitarie.
E Silvio? Dov’è il decisionista tutto d’un pezzo, l’uomo del fare che perdette per strada i vari Casini, Fini e Bossi perché volevano discutere su tutto senza concludere su nulla, il premier piegato soltanto dalla pressione delle cancellerie europee e delle stanze dei bottoni finanziarie? Il nuovo Cavaliere è un tattico, uno che offre il “soccorso azzurro” (ormai sono lontani i tempi del “soccorso rosso”) ,ma rifiuta l’ingresso al governo. Che si concede a metà, arrivando forse sul confine dell'”appoggio esterno”, roba da archeologia politica democristiana. Che approva le riforme istituzionali e controfirma il nuovo sistema elettorale ma non sostiene il programma economico dell’esecutivo, sapendo che a ottobre saranno lacrime per tutti. Che dà una mano al leader Pd e contemporaneamente cerca la riunificazione del centrodestra, recuperando Ncd e Fratelli d’Italia.
Soprattutto, Berlusconi pensa ad avere una persona di fiducia al Quirinale dopo le dimissioni di Napolitano, che sembrano sempre più probabili nella prossima primavera, terminato il semestre europeo a guida italiana e varate dal Parlamento le prime modifiche dell’assetto istituzionale. In ballo ci sono non soltanto l’eventuale concessione della grazia, ma anche interventi discreti per modificare certe leggi. Si vocifera che Matteo e Silvio abbiano già concordato di tenere Prodi fuori dalla corsa al Colle. Assai plausibile, visto che ci sarebbero stati molti deputati renziani tra i 101 “grandi elettori» di sinistra che un anno fa impallinarono il Prof”.