Di buon mattino, alle 8, una lunga chiacchierata con Silvio Berlusconi; di pomeriggio, una bella lettera ai parlamentari della maggioranza. Matteo Renzi affronta la drammatica giornata in cui l’Istat certifica la recessione dell’economia italiana con il suo stile: a parole. Tre ore di confronto con il Cavaliere e i suoi collaboratori più stretti (Verdini e Gianni Letta), compreso un faccia a faccia tra i due leader nei corridoi di Palazzo Chigi, un vero «amarcord» per Berlusconi, e successivamente una lettera piena di esortazioni e ordini di scuderia ma ancora nulla di concreto.
Il dato Istat dimostra che l’economia non riparte. Ma Renzi si offende se qualcuno gli fa osservare che i provvedimenti anti-recessivi del suo governo lasciano il tempo che trovano, e che forse converrebbe dedicare più energie alle riforme economiche che a quella del Senato (in cui ieri sera l’esecutivo è andato ancora in minoranza per un emendamento targato Sel votato a scrutinio segreto). Il premier è tetragono: ieri il messaggio era di prendersi le responsabilità, non minimizzare, non fare la figura di quelli che sottovalutano la situazione, non scaricare colpe sui governi del passato, che sarebbe visto come un atteggiamento da «vecchia politica». Invece bisogna dimostrare il coraggio di quelli che vogliono «fare di più».«Siamo ancora più determinati di prima», scrive Renzi nella missiva alla maggioranza.
L’incontro con Berlusconi non è stato fissato a caso nel giorno più nero dei numeri del Pil: il premier aveva bisogno di una stampella solida. E non conta che la sponda sia arrivata sul versante delle riforme e non dell’economia. Il «soccorso azzurro» è un risultato importante per Renzi, che gli garantisce un percorso meno accidentato verso il nuovo Senato, ma non solo. Berlusconi ha assicurato di essere pronto a fare la sua parte con un’opposizione «responsabile». «Chi prova a cambiare le cose ha tutti addosso, io lo so bene», avrebbe detto il Cav a Renzi. Ciò non significa che dietro l’angolo vi siano cambi di maggioranza, con l’ingresso di Forza Italia al governo o eventualmente l’appoggio esterno. È un patto istituzionale, sancito dal fatto che i due si sono visti a Palazzo Chigi e non al Nazareno, come altre volte, sede nazionale del Partito democratico.
Oltre che di Senato, Matteo e Silvio hanno parlato di legge elettorale e delle modifiche che si stanno studiando per sbloccare lo stallo dell’Italicum: soglie di sbarramento e preferenze. Nemmeno questo è un tema che produrrà qualche «zero virgola» in più di Pil, ma se non altro ridimensiona il ruolo del Nuovo centrodestra, sempre alla ricerca di un gioco di interdizione. Sulle preferenze Berlusconi continua a essere scettico, e Renzi ne condivide molte preoccupazioni, mentre Alfano ne fa una questione capitale. Appare definitivamente archiviato il dialogo tra Pd e Movimento 5 Stelle.
In sostanza, Renzi e Berlusconi volevano dare un segnale: sulle riforme non si fa nulla che non trovi il consenso di entrambi. Niente «geometrie variabili». I «piccoli» potranno protestare, prolungare la guerriglia parlamentare degli emendamenti e dei voti a sorpresa, ma andranno a sbattere se non incontreranno il benestare dei leader dei partiti maggiori. La stessa sorte riguarda i dissidenti interni a Pd e Fi: non ci saranno patti a 3 o 4 contraenti. Anche sulla riforma della giustizia c’è disponibilità degli azzurri a sostenere modifiche dell’assetto che incontrino il loro gradimento. Di economia, manovre, ripresa, si è parlato poco a Palazzo Chigi: Renzi ha preferito cavarsela con la letterina di incoraggiamento ai suoi parlamentari.