Una calza in meno e qualche Twitter in più: ormai sembra questa la differenza di stile tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. La calza è il famoso accessorio che il Cavaliere usava per i primi videomessaggi alla nazione, indossata non da lui ma dalla telecamera che lo inquadrava: serviva a rendere più «calda» l’immagine per il piccolo schermo. Il Rottamatore si limita a registrare videomessaggi anche senza il tepore del calzino: l’ultimo propinato al popolo italico è stato registrato ieri nel volo che lo portava a Roma di ritorno dagli Usa.
Sul capo del premier incombono questioni sempre più numerose e scottanti: l’articolo 18, il Jobs Act, le riforme istituzionali ed elettorale, la ripresa che non c’è, la svolta per il Paese che tutti chiedono ma nessuno vede. Incomberebbe anche un semestre europeo un tantino più incisivo, ma Renzi preferisce volare alto; anzi si limita a volare, oltreoceano, magari a passaggio radente e quindi non troppo alto. Sull’aereo che lo riporta a casa dopo una settimana negli Stati Uniti, Renzi parla di un Paese non finito ma «infinito», come fosse un nuovo Leopardi. Parole alate, ma pur sempre parole. Il dramma è che alle parole non seguono i fatti.
Appena rimesso piede sul suolo italico, il presidente del Consiglio ha preso atto che l’editoriale dell’altro giorno del Corriere della Sera, firmato dal direttore (in scadenza) Ferruccio de Bortoli sta ancora dispiegando i suoi effetti. Renzi si sta accorgendo della portata delle bordate sparate da via Solferino. Attraverso le polemiche sul Jobs Act e l’articolo 18, si delinea la vera partita in gioco: quella per il Quirinale. Se la riforma del lavoro porterà davvero a una scissione del Pd (ipotesi ribadita ieri da Pippo Civati), Renzi potrà restare a Palazzo Chigi soltanto con i voti di Berlusconi, cioè rafforzando il Patto del Nazareno. E ciò fa intendere che l’alleanza si prolungherebbe fino a determinare il nuovo inquilino del Quirinale nell’ipotesi, tutt’altro che irrealistica, che Napolitano lasci ai primi di febbraio o marzo. Renzi e Berlusconi sono i politici più lontani, negli ultimi 20 anni, agli establishment. Chissà quale nome potrebbe uscire dal loro cilindro, sottratto al controllo di quanti vogliono continuare a comandare.
Viceversa l’Europa e i poteri forti di casa nostra tifano per Mario Draghi, governatore della banca centrale europea. I tedeschi in particolare vedrebbero di buon occhio imporre a Roma un personaggio allineato sui diktat della Merkel e contemporaneamente piazzarne una altro, di loro fiducia, a Francoforte. Ma difficile che Berlusconi e Renzi possano convergere sull’attuale custode dell’euro.
I «poteri forti» così si muovono lanciando segnali al premier e mettendolo in guardia. Renzi reagisce a modo suo, con annunci e parole evocative ma poco concrete, senza indicare scadenze e impegni precisi. Berlusconi evita ancora di esprimersi sul «giovanotto» di Firenze. Anche ieri a Perugia, come una settimana fa a Sirmione, i suoi discorsi vertono sulla ristrutturazione di Forza Italia più che sul futuro del Paese: non si disturba il manovratore. Il Nazareno, insomma, per ora resiste nonostante gli attacchi e i messaggi in codice spediti via Corriere. Ma quanto tempo ancora reggerà questa alleanza che non è maggioranza?