Il nuovo faccia a faccia tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi è come una partita a scacchi; anzi, sono tante partite giocate contemporaneamente. Renzi ne disputa una con l’ex Cavaliere e un’altra con la sua minoranza. Berlusconi addirittura sembra la dea Kalì perché ha fronti aperti con Renzi, con Fitto e con Alfano, e le mosse su una scacchiera sono legate a quello che succede sulle altre.
Per questo i due leader si sono visti ieri, e il loro dialogo è cominciato tardi rispetto al previsto (10,30 invece che alle 9) ed è durato soltanto un’ora. La scacchiera del Nazareno si prende una settimana di pausa e il timer scatterà nuovamente martedì prossimo, quando si parlerà finalmente di Quirinale. Contro tutte le attese, infatti, i due ieri hanno appena sfiorato il dopo-Napolitano. Prima bisogna mettere alla prova le intese raggiunte e saggiare le reazioni degli avversari sugli altri tavoli; poi si passa alla sfida finale.
Renzi e Berlusconi hanno dunque consolidato l’accordo sulle riforme, in particolare sulla legge elettorale. L’uno ha bisogno dell’altro per reggere agli strappi delle minoranze interne. Il Cavaliere ha garantito a Renzi i voti di Forza Italia sull’Italicum che compenseranno i vuoti lasciati dalla minoranza Pd. Il premier porterà a casa il risultato della nuova legge elettorale e a quel punto tornerà a sedersi al tavolo del Nazareno, dove toccherà a Berlusconi riscuotere il premio del «soccorso azzurro».
Silvio e Matteo sanno che la partita è ad altissimo rischio per l’imprevedibile comportamento delle fronde interne. Ma già ieri pomeriggio nel Pd si sono viste le prime crepe nel fronte dei contrari: Renzi si è presentato forte del rinsaldato rapporto con il Cav ed è riuscito a portare dalla sua parte alcuni senatori dissidenti, mentre da parte sua Fitto ha annunciato che voterà l’Italicum. Agli azzurri recalcitranti perché ritengono che il premio alla lista penalizzi Forza Italia a tutto vantaggio del Pd, Berlusconi ha replicato che il nuovo sistema elettorale favorirà la ricomposizione del centrodestra sotto forma di lista unica, e non di coalizione come in passato.
A cementare questa prospettiva servono gli incontri con Angelino Alfano: è vero che i due parlano anche di Quirinale, ma ben difficilmente al Colle salirà un moderato di centrodestra. A sostegno di questa prospettiva arrivano gli ultimi sondaggi, che danno il Pd in calo con il centrodestra in forte recupero se si presentasse unito: e chissà che cosa succederebbe se il Pd dovesse perdere pezzi in seguito a una scissione.
Lo schema sulla scacchiera dunque dovrebbe essere questo. Renzi incassa il voto di Forza Italia sull’Italicum al Senato e ottiene l’approvazione definitiva prima del 29 gennaio, quando si riuniscono i grandi elettori del presidente.
A quel punto, testata la lealtà di Forza Italia, si concorda un candidato comune al Colle da far passare a maggioranza semplice dopo la quarta votazione. Il voto sull’Italicum è perciò una prova generale per il Quirinale. Se salta la legge elettorale, salta tutto e si andrà a votare. Ma a quel punto sarà il vecchio e infallibile attaccamento alla poltrona l’alleato più formidabile per Renzi. Davanti alla prospettiva di perdere partito e poltrona, la minoranza Pd (fatta di parlamentari che difficilmente verrebbero riconfermati) rientrerà nei ranghi almeno in parte.
Resta da capire quale strascico di rancori, insoddisfazioni e rivalse si trascinerà Renzi in questo braccio di ferro con Bersani, Civati, Cuperlo, Gotor, Fassina eccetera, e se questo magma di risentimento trasformerà in un campo di mine il percorso verso l’elezione del nuovo capo dello Stato.