Il gioco si fa duro. Oggi cominciano le votazioni per eleggere il nuovo capo dello Stato e il Paese assisterà allo spettacolo delle maggiori forze politiche che votano scheda bianca. Ieri doveva essere una giornata decisiva per la scelta del nome giusto, invece non lo è stata. Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si sono visti a pranzo per due ore ma non sono venuti a capo di niente. Si rivedranno questa mattina ma è probabile che, almeno ufficialmente, nemmeno questa sarà la volta buona. Se l’obiettivo è eleggere il presidente alla quarta votazione, cioè sabato mattina, il nome non uscirà prima di domani o addirittura lo stesso sabato dopo l’immancabile braccio di ferro notturno. C’è un mondo di «Italian snipers» pronti a impallinare qualunque cosa si muova.



Nella trattativa di ieri sono caduti alcuni nomi. Berlusconi ha capito che non c’è spazio per le sue proposte, cioè Amato e Casini, mentre lui ha bloccato il nome lanciato da Renzi, ovvero Sergio Mattarella, giudice costituzionale, ex ministro Dc, autore della legge elettorale semi-maggioritaria, siciliano. Mattarella lasciò il governo quando fu approvata la legge Mammì, e Berlusconi gliel’ha giurata: lo considera uno «Scalfaro bis». Aggiungiamoci qualche ruggine con l’altro siciliano del centrodestra, cioè Angelino Alfano, e il veto è fatto. Il Cavaliere ha puntato su Giuliano Amato, su cui convergerebbero anche Ncd e sinistra Pd, ma il premier lo considera una figura troppo ingombrante, al contrario del malleabile passacarte Mattarella.



Renzi tuttavia doveva aspettarsi il rifiuto. E allora è probabile che sia andato al vertice con Berlusconi con l’obiettivo di tenere ancora coperta la sua «vera» carta vincente. Il segretario del Pd mette sul tappeto candidati che mai avranno il via libera del leader del centrodestra. «O Silvio, non potrai dir di no all’infinito!», gli dirà a un certo punto. E quello sarà il momento in cui sul tavolo calerà l’asso.

Al pranzo dev’essersi consumato un bel falò. Alla riunione dei «grandi elettori» di Forza Italia, Berlusconi ha fatto un solo nome di quelli che ha bruciato, cioè il magistrato Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione. «I pericoli più grossi sono sventati», ha detto. Dal centrodestra sale la richiesta non di un tecnico ma di un politico, con esperienza e agganci europei, non troppo caratterizzato per la militanza nel Pd. Ma su qualcosa Berlusconi dovrà cedere. Ieri hanno ripreso quota Veltroni e Fassino ed è spuntato Franco Bassanini, che è di sinistra ma non viene dal Pci (era socialista come Amato), riformatore della pubblica amministrazione e oggi presidente della Cassa depositi e prestiti. 



In serata il vicesegretario Pd Guerini, lasciando la Camera, ha detto che «si parte e si arriva a Mattarella» poi però ha messo la retromarcia aggiungendo che «la partita è ancora lunga e aperta e tutt’altro che definita». Il giudice costituzionale è talmente poco caratterizzato da non provocare troppi maldipancia nel Pd. La strategia dunque potrebbe essere quella di lavorare ai fianchi Berlusconi per convincerlo a convergere su Mattarella: di questo pressing farebbe parte la richiesta avanzata ieri sera di votare tre volte venerdì, facendo scattare già domani l’abbassamento del quorum dai due terzi alla maggioranza semplice.

Ma il Cavaliere deve mostrare che il centrodestra costruisce il candidato assieme al Pd, non si limita a un «sì» forzato. Un nome condiviso, non subìto. Berlusconi è indispettito da chi calcola (male) che l’Italicum sarebbe passato anche senza i voti azzurri. Ed è convinto che Renzi non è spregiudicato fino al punto da mandare a monte il Nazareno per fare il governo con Ncd, le riforme con Forza Italia e il presidente con i dissidenti Pd e i grillini.