Usa e getta, come un fazzoletto Kleenex. Un accessorio utile ma che appena dopo l’uso diventa superfluo. Molti nel Pd pensano (o s’illudono) che il rapporto tra Matteo Renzi e Denis Verdini sia più o meno questo mentre la riforma del Senato supera a poco a poco gli scogli parlamentari. È un apprezzamento indiretto alla spregiudicatezza del premier, che avrebbe imbarcato l’ex coordinatore di Forza Italia il tempo necessario per usarlo come spauracchio contro le minacce di defezione della minoranza Pd. Raggiunto l’accordo con i bersaniani, la pattuglia dell’Ala diventerebbe inutile. Ricompattato il partito, l’opposizione interna a Renzi potrebbe ricominciare con le sue guerriglie, magari già nella prossima discussione sulla legge di stabilità, mentre la maggioranza si sveglierebbe felice dall’incubo di vedere uno come Verdini entrare nel partito. E si godrebbe in santa pace le 24 ore di celebrità del senatore Cociancich, dirigente nazionale degli scout, “peone” sconosciuto ai più fino all’altro giorno quando ha presentato l’emendamento che ha consentito di aggirare il grosso dell’ostruzionismo.

Ieri le votazioni sono andate alla grande per il governo che ha raccolto 177 voti al Senato, un record mai raggiunto da nessun voto di fiducia, nemmeno dal primo. In Transatlantico gira la voce che il sottosegretario Luca Lotti avrebbe chiesto a Verdini di non votare più la riforma per evitare problemi a Renzi nella gestione del partito. I numeri ci sarebbero anche senza gli ultimi arrivati. La risposta sarebbe stata un’occhiata di compatimento. Verdini non solo continuerà a votare le riforme del governo, ma cercherà di ingrossare la pattuglia di transfughi in cerca di una riconferma parlamentare o di qualche poltrona ben retribuita.

Potrebbe essere. In fondo, anche questa ricostruzione alimenta l’immagine di un premier sicuro di sé, spregiudicato e soprattutto in grado di trattare il rapporto con Verdini con una certa elasticità. Ma la strada del nuovo Senato è lunga e lastricata di imboscate. E se fallissero quelle forziste-leghiste, ci penserebbe la minoranza interna al Pd a tastare il polso dell’asse Renzi-Verdini.

Ma chi conosce i due toscani sa che il loro legame è solido quanto imperscrutabile. Verdini non ha mollato il Cavaliere per farsi usare da Renzi a suo comodo. E il premier non si è esposto a pesanti rischi (l’ultimo sondaggio di Euromedia dice che il Pd perderebbe il 7 per cento in caso di accordo con Verdini mancando addirittura il ballottaggio) senza un disegno di lungo periodo. Che probabilmente è quello di blindare le riforme e poi modificare l’Italicum concedendo il premio di maggioranza alla coalizione vincente anziché alla lista.

Ciò consentirebbe un accordo elettorale con Alfano e Verdini senza farli entrare nel Pd. E questa mossa incontrerebbe il favore anche di Forza Italia, che più facilmente troverebbe un’intesa con la Lega (e Fratelli d’Italia) senza farsi schiacciare da Salvini. 

In questa operazione, gli unici a rimetterci sarebbero i 5 Stelle. Tutti gli altri avrebbero trovato la famosa «quadra». In cambio di questa apertura, magari Renzi otterrebbe un abbassamento del quorum per il premio di maggioranza. Ma questi sono dettagli.

In questa fase Berlusconi e Salvini si sono avvicinati, anche loro scommettono sulla tenuta del patto Renzi-Verdini. Il sondaggio Datamedia premia l’eventuale lista unica tra i due partiti, andrebbero loro al ballottaggio (con i Grillini) se si andasse a votare con la legge attuale. Gli elettori vedono più affinità tra Lega e Forza Italia che non tra Pd ed ex azzurri. E ancora meglio dovrebbe andare senza lista unica ma in coalizione.