Nella spasmodica rincorsa a imitare Silvio Berlusconi facendo meglio di lui, Matteo Renzi ha centrato un nuovo obiettivo, che va ad aggiungersi all’abolizione dell’articolo 18, allo sforamento dei parametri di bilancio stabiliti dall’Unione europea, all’innalzamento della soglia per l’uso del contante, fino all’abolizione dell’Imu sulla prima casa: «Berlusconi ha cambiato idea, noi invece andremo fino in fondo», ha detto il premier l’altro giorno per suggellare quale sia il vero “benchmark” del governo, il suo punto di riferimento.
Ebbene, ieri sono giunte le pesantissime critiche dell’Associazione nazionale magistrati. Non sarà più lo stesso clima di conflitto permanente effettivo che vigeva ai tempi del Cavaliere, ma le toghe denunciano che anche sotto Renzi si sentono colpite da una «consapevole strategia di delegittimazione», in quanto il potere politico insiste a dipingerle come una «corporazione volta alla difesa dei propri privilegi». Parole pronunciate dal presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, al congresso barese del sindacato delle toghe, alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella, che fino a gennaio era egli stesso un giudice (costituzionale) e ha applaudito con convinzione.
Stavolta la rabbia delle toghe non è una reazione alle accuse di legami con la sinistra lanciate da Berlusconi, ma riguarda questioni più prosaiche come il taglio delle ferie o la nuova disciplina sulla responsabilità civile dei magistrati. Da qui parte un’intemerata che coinvolge l’«incoerenza» nel contrastare la corruzione, la «timidezza» nel dotare i pm di strumenti di indagine più efficaci, la «delusione» per il debole contrasto alla legge Cirielli, l’ormai cronica carenza di personale. La sferzata più caustica colpisce l’attenzione maggiore riservata dall’esecutivo a disciplinare le intercettazioni piuttosto che a combattere la mafia.
Alle durissime parole di Sabelli si sono aggiunte, sempre ieri, le pesanti considerazioni di Raffaele Cantone, capo dell’Autorità anticorruzione e simbolo della volontà renziana di cambiare registro rispetto alla stagione del Cavaliere condannato. Cantone ha lamentato il perdurare della corruzione negli ambienti politici, come confermano le inchieste più recenti sull’Anas (in manette un ex sottosegretario Pd del governo Prodi) e sull’Inps, scoppiate pochi giorni dopo l’arresto del vicepresidente (forzista) della Regione Lombardia. Per non parlare del rinvio a giudizio del sottosegretario Francesca Barracciu, del Pd. Altri problemi giungono per Renzi sul versante giudiziario dalla decisione della Consulta sulla legge Severino e da quell’ex magistrato che risponde al nome di Luigi de Magistris, assolto in appello nel troncone dell’inchiesta “Why Not” che lo riguarda.
Insomma, tra Renzi e le toghe le acque sono agitatissime. I giudici non fanno sconti al leader Pd nemmeno quando egli si morde la lingua ed evita di attaccarle. Dalle confuse faccende riguardanti Renzi senior fino al setaccio giudiziario passato su tante giunte di sinistra da Roma capitale in giù, la magistratura tiene Renzi a briglia corta.
I privilegi non si toccano, ma non si tocca soprattutto il potere ormai solidamente acquisito dalle toghe. Un potere quasi assoluto, debolmente contrastato, che Renzi subisce al pari di chi l’ha preceduto con un garantismo a corrente alternata che fa dimettere un sindaco non indagato come Ignazio Marino (o un ministro parimenti non indagato come Maurizio Lupi) mentre chiude gli occhi sui pesanti guai giudiziari di Denis Verdini. La legge è uguale per tutti, diceva il capo dei maiali nella Fattoria degli animali, ma per qualcuno è più uguale.