Non dev’essere andato granché bene l’incontro di domenica sera tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini davanti al maxischermo tv di Arcore che trasmetteva la partita del Milan. E non si tratta soltanto del risultato finale disastroso per i rossoneri, di cui anche il leader leghista è acceso tifoso. Una coltre di silenzio ha avvolto il vertice per 24 ore. La notizia del faccia a faccia è echeggiata lunedì sera in ambienti parlamentari e confermata ieri in tarda mattinata da un classico comunicato congiunto, quelli che andavano di moda ai tempi di Breznev e Nixon.
Naturalmente la nota parla di assoluta identità di vedute e nulla più. Significa che l’incontro si è concluso con un nulla di fatto sulla questione più spinosa, cioè la candidatura unica per il sindaco di Milano. Fonti di Forza Italia lo definiscono interlocutorio. Non molto produttivo, dunque. Altri summit seguiranno, magari i due leader del centrodestra hanno proprio compilato il calendario, la road map verso la candidatura.
La serata televisiva di Arcore è servita comunque a entrambi. Berlusconi doveva tacitare gli scettici interni al partito che lo considerano troppo distante dalla battaglia politica, troppo preso dai tatticismi e dagli affari della Mondadori. Ma anche Salvini ha avuto il suo ritorno di immagine, e probabilmente è quello che ci ha guadagnato di più. Anche lui aveva bisogno di ribadire chi è il capo. Perché in seno alla Lega si sta aprendo il caso Maroni il quale potrebbe fare una certa ombra al segretario federale, che pure appare saldo e deciso. Non è un mistero che Maroni voglia dire la sua nella scelta del nome per Milano, e soprattutto sull’opportunità di imbarcare il Ncd nella coalizione, eventualità vista come il fumo negli occhi da Salvini.
Nell’ultimo periodo Maroni si è segnalato per un certo attivismo politico oltre che amministrativo. Ha incontrato Matteo Renzi, si pone come riferimento del successo di Expo e interlocutore del governo sulle questioni economiche e fiscali. Alla convention nell’entroterra del Garda organizzata giorni fa da Mariastella Gelmini, Maroni si è fatto vedere e ha parlato a lungo con Giovanni Toti, collega governatore della Liguria ma soprattutto consigliere di Berlusconi. Si è fatto apprezzare dal mondo centrista per le iniziative contro il gender nelle scuole e si è speso per una forma di reddito di cittadinanza per i disoccupati.
Insomma, il presidente della Lombardia assume un profilo sempre più lontano dagli estremismi salviniani, più istituzionale, più centrista e più affidabile. Chi lo sceglierà il candidato per Palazzo Marino, lui o Salvini? Il governatore che ha bisogno di un accordo largo per rafforzare la sua stessa giunta, oppure il segretario lepenista che fa presa sull’elettorato più ruspante ma convince meno i moderati? Il braccio di ferro interno alla Lega, dissimulato ma non meno serrato, ha preso il via. E anche per questo Salvini aveva molto bisogno di vedere Berlusconi, forse più del Cavaliere stesso: così ha fatto vedere che chi tratta e vuole avere l’ultima parola è proprio lui, l’erede di Maroni alla guida del Carroccio