Nei momenti di difficoltà tutto aiuta, perfino l’orlo dei pantaloni un po’ troppo corto e i calzini dal colore un po’ troppo acceso. Di Matteo Renzi, almeno sui siti web, in questi giorni si è parlato più per l’abbigliamento che per i risultati ottenuti come presidente del Consiglio. E visto che questi risultati sono fallimentari, tutto sommato al Rottamatore va bene così.

L’economia non riparte, l’occupazione non cresce, il numero degli scoraggiati che ormai un lavoro non lo cercano nemmeno più continua a salire. Sono i cosiddetti «né né», né lavoratori ma nemmeno disoccupati, piuttosto sono disillusi, sfiduciati, sfibrati, incapaci di rimettersi in moto. Sono loro gli emblemi di questa crisi che non passa mai e non viene neppure fotografata a dovere dalle statistiche. Giuseppe De Rita per sintetizzare l’immagine dell’Italia disegnata dal Censis ha parlato di «letargo»: un sonno prolungato che impedisce di affrontare a viso aperto la stagione più difficile.

Questa è l’Italia di Renzi. Il colmo del ridicolo (per non dire che in realtà è una tragedia) si è toccato con il balletto delle cifre sul prodotto interno lordo. Il governo aveva previsto una crescita dello 0,9; l’Istat ha abbassato le previsioni allo 0,7 per cento; ieri l’Istituto di statistica ha aggiustato il tiro riconoscendo di non avere conteggiato le giornate festive nel novero dei periodi lavorativi e che dunque quella previsione in realtà è pari allo 0,8. Briciole, miserie. Eppure per un governo come quello in carica perfino uno zero virgola preceduto da un segno positivo equivale a un successo storico.

Quel «letargo» del Censis è stato uno schiaffo per Renzi. Che si è indispettito perché gli è stato appioppato alla vigilia dell’iniziativa “Italia coraggio!” che tutto voleva significare, fuorché mandare segnali di ristagno e rassegnazione. «Io vedo un paese che ha voglia di ripartire, che è vivo, forte. Dobbiamo avere il coraggio di vivere questa stagione di ripartenza anche dell’economia» ha tuonato il premier anti disfattista. La Tv di partito ha parlato di duemila banchetti in tutta Italia, 30mila volontari e 5 milioni di volantini.

Una prova di forza, indubbiamente, alla quale fra una settimana si aggiungerà la Leopolda, evento cardine dello storytelling renziano. «Con le tasse che finalmente vanno giù — ha detto Renzi al gazebo del suo paese, Rignano sull’Arno — questa stagione va vissuta con il sorriso, con l’entusiasmo, stando attenti, con tutte le prudenze del caso». S’indispettisce con l’Istituto di statistica perché ci sono “300mila posti di lavoro in più grazie al Jobs act” mentre guarda con disprezzo i decimali della crescita, come se la ripresa non passasse anche di lì. E si stizzisce per quell’espressione del Censis, letargo, che sa di plantigrado immobile, inerte.

La verità è che la scossa di Renzi non c’è stata, che nemmeno congiunture favorevoli come il prezzo incredibilmente basso del petrolio o i tassi di interesse prossimi allo zero — che dunque invoglierebbero a indebitarsi — si traducono in investimenti, crescita, reddito, occupazione. Dai gazebo alla Leopolda, il premier riempie i giornali di immagini, discorsi, metafore che alzano nuvole di fumo sull’efficacia reale del suo operato. Meglio anche per lui, insomma, che si parli dei calzini blu, come per il giudice Mesiano: il gossip riflette il meteo di questi giorni, nebbia in Valpadana, e pure a Palazzo Chigi.