Chi gli è vicino racconta che abbia passato il sabato a consultare imprenditori amici per ricavarne impressioni sul Jobs Act e capire dai diretti interessati le conseguenze della riforma del lavoro sul sistema produttivo. Sarà. In realtà il sabato di Silvio Berlusconi è stato assorbito da due dossier che s’intrecciano, quello giudiziario con le inchieste sulle “olgettine” e quello politico che sulla prima pagina porta il nome di Raffaele Fitto.
I legali del leader di Forza Italia stanno cercando di capire se sia reale l’eventualità che una o più ragazze si accordi con la procura di Milano per uscire dal tritacarne giudiziario scaricando il Cavaliere. L’umore di Berlusconi è nero. Ieri ha invocato la mobilitazione del partito contro le toghe milanesi, ma ha ottenuto semplicemente una lettera scritta da seconde file del partito (soprattutto parlamentari vicini a Denis Verdini). I big non si sono mossi. Potrebbe essere una scelta dettata da una doverosa prudenza, in questa fase. Ma il disimpegno potrebbe nascondere anche un brutto segnale per l’ex premier: cioè che la fronda interna sta crescendo.
D’altra parte, ieri era anche il giorno in cui Raffaele Fitto ha radunato i suoi fedelissimi “Ricostruttori” all’Eur di Roma per rilanciare l’azione politica dei dissidenti azzurri. Berlusconi non è stato per nulla contento. Ha cercato anche in questo caso di chiamare a raccolta le truppe per alzare fuoco di sbarramento contro le milizie del pugliese: in sostanza la risposta è arrivata soltanto da Mariastella Gelmini, Giovanni Toti e Luigi Vitali, neo commissario del partito in Puglia, che ha pure infilato una brutta gaffe interpretando male la proiezione all’Eur delle risatine tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy che rappresentarono l’anticamera della fine del governo Berlusconi nel 2011.
Fitto è astuto. Ha scelto una strategia diversa dallo scontro frontale, ovvero un lungo e instancabile lavorio ai fianchi. «Non sono Fini che ha fatto cadere il governo o Alfano che governa con la sinistra», ha ripetuto anche ieri. Almeno a parole, Fitto non intende rompere ma combattere dall’interno restando in Forza Italia. Esige tuttavia che Berlusconi ammetta «gli errori di questi mesi».
Questo è il punto di maggiore attrito. Il Cavaliere si domanda che cosa voglia davvero Fitto. La partita per il Quirinale è finita male, il patto del Nazareno è stato stracciato: cosa vuole ancora l’ex governatore pugliese? Se chiedeva un cambio di linea, l’ha ottenuto. Ora Forza Italia è all’opposizione, sia pure con qualche malessere. Il Nazareno è in archivio. La procura di Milano è alle porte. Il rischio che venga vanificato il pieno ritorno di Berlusconi in politica (con la fine della pena) è altissimo. A due mesi dal voto per le regionali è pericolosissimo enfatizzare le diversità all’interno di Forza Italia.
Questi sono i pensieri di Berlusconi. Ma allora, Fitto cosa vuole ancora? Perché continua a soffiare sul fuoco delle divisioni interne, allontanando quegli elettori moderati che sono stufi di vedere gli azzurri dilaniarsi su Quirinale e poltrone interne senza alzare un dito sulle questioni reali, il lavoro, la scuola, il reddito, la ripresa economica?
Ai cattivi pensieri su Fitto si aggiungono gli interrogativi sui colonnelli di Forza Italia, stranamente passivi davanti alla nuova offensiva giudiziaria. Ieri Toti ha detto di ritenere inaccettabili le lezioni che arrivano da chi ha perso regione (Vendola ha preso il posto proprio di Fitto come governatore) e capoluogo. E forse è proprio Toti il vero obiettivo di Fitto, che si credeva il delfino naturale di Berlusconi prima che da Mediaset spuntasse l’astro del nuovo consigliere politico del capo.