Lo strappo è compiuto, Flavio Tosi si candida alla guida della regione Veneto contro il suo ex compagno di partito Luca Zaia. E soprattutto contro Matteo Salvini, il leader del Carroccio (ma ha ancora senso usare una metafora «padana» per definire un partito che di autonomista non ha più nulla?) che l’ha cacciato. Tosi dice di muoversi da «uomo libero», come a dire che nella Lega si sentiva schiavo. Matteo Renzi ha fatto slittare le regionali al 31 maggio, e il sindaco di Verona beneficerà di più tempo per fare passare il suo messaggio.



Già si parla del Veneto come di un laboratorio nazionale. Il laboratorio è una parola buona per tutte le stagioni, quando nella politica si affaccia qualcosa d’insolito si dice meccanicamente che «è un laboratorio». Difficile immaginare tra provette e alambicchi uno come Tosi, un «sindaco sceriffo» che ha dimostrato (anche quand’era stato assessore regionale alla Sanità) buone doti di amministratore ma deve ancora dare prova di poter fare il salto verso una dimensione nazionale.



Tosi non diventerà governatore, non è neppure detto che farà perdere Palazzo Balbi a Zaia; tuttavia la sua scommessa stavolta ha un respiro ampio. È il tentativo di raggruppare il popolo dei moderati, quella fetta di elettorato che è sempre stata consistente in Italia e ora ingrossa le file dell’astensionismo perché non si sente più rappresentata dalla Lega salviniana né da Forza Italia priva di timone e di idee. Con Tosi dovrebbero scendere in campo il Nuovo Centrodestra, il partito di Passera e liste civiche che rifuggono sia la deriva lepenista di Salvini sia l’involuzione di Silvio Berlusconi.



Il sindaco di Verona deve spaccare sia la Lega sia Forza Italia, deve puntare sul fatto che gli azzurri sono succubi dei leghisti, i quali ormai dettano la linea al centrodestra. Il caso Veneto avrà conseguenze sullo scenario nazionale. La vittoria di Zaia decreterà la supremazia della Lega su Forza Italia. Per questo non sembra scontato l’appoggio di Berlusconi al candidato di Salvini. Tanto più che il segretario leghista non perde occasione per criticare il Cav. 

Tutto dipenderà dalla strada che il Cavaliere deciderà di seguire: insistere nella svolta anti-renziana, improvvisamente ostile alle riforme sostenute per mesi, e convergere sulle posizioni d’intransigente opposizione presidiate da sempre dalla Lega che tuttavia non si lascia sfuggire nessuna opportunità di irridere un Berlusconi «decotto»; oppure spostarsi verso Alfano e Tosi in un polo moderato tutto da costruire ma nel quale Berlusconi non potrà muoversi come il capo assoluto. L’immobilismo di questi mesi costringe ora il Cavaliere a rincorrere le mosse altrui, ed è paradossale che siano due leghisti (uno per la verità ex) a dettare la linea al centrodestra.

Ma c’è da capire anche quali saranno le mosse della Lega, se intende ritagliarsi un posto da perenne oppositore oppure cercare alleanze per tornare al governo. Salvini ha posto l’aut aut a Berlusconi: o me o Alfano. Però i voti del Nuovo centrodestra non gli fanno schifo né in Veneto né in Lombardia, regioni leghiste guidate da una coalizione dove compare anche Ncd. Oggi la Lega è un partito che si sposta chiaramente a destra, che impugna la bandiera anti-euro proprio nel momento in cui una struttura comunitaria come la Bce dà ossigeno all’economia, che espelle uno dei suoi uomini di punta alla vigilia delle elezioni: non è il miglior biglietto da visita per chi voglia aggregare attorno al proprio programma politico.

La mossa di Tosi isola la Lega Nord, la schiaccia a destra per cercare di conquistare il voto di chi non si fida delle estreme e non va in cerca di avventure. Cinque anni fa Zaia ebbe il 60 percento: 35 della Lega più 25 del Pdl. Quel risultato oggi sarebbe irripetibile anche senza lo strappo del sindaco di Verona. I sondaggi dicono che il governatore in carica rimane ancora in vantaggio su Alessandra Moretti. Ma questi due mesi di campagna elettorale si annunciano molto movimentati.