Attenzione attenzione, Matteo Renzi è pronto a ritirare l’ultima esca lanciata verso la minoranza del Pd per non spaccare il partito. L’aveva detto all’assemblea dei deputati qualche sera fa, l’ha ribadito l’altro giorno in un colloquio con Repubblica: pur di ottenere il via libera alla nuova legge elettorale nel momento più critico del suo cammino, il governo era pronto a considerare modifiche alla riforma costituzionale.
La concessione del premier era suonata come una moneta di scambio: se la minoranza Pd si ammorbidisce sull’Italicum, il governo le verrà incontro sul Senato elettivo. Non proprio un ricatto, ma quantomeno un baratto che avrebbe consentito di evitare prove di forza culminanti nel voto di fiducia sulla legge elettorale. E sarebbe una scorciatoia, non la strada maestra, per giungere a un’approvazione che dovrebbe raccogliere un consenso il più possibile condiviso. Quella vecchia volpe di Pierluigi Bersani aveva colto al volo l’apertura: ok al baratto, aveva fatto capire, se le modifiche alla bozza costituzionale fossero state di sostanza e non un semplice maquillage. E quindi, addio Senato delle regioni ma ritorno a una Camera alta elettiva.
Ieri il ministro Maria Elena Boschi, il portavoce ombra dell’esecutivo Renzi, ha usato un’espressione ambigua: disponibile a “riapprofondire” la riforma costituzionale ma non a rimettere tutto in discussione, mentre parlare di fiducia sull’Italicum è ancora “prematuro”. Non è escluso, ma al momento non se ne parla perché si cerca una posizione comune all’interno della maggioranza. Il confronto con la minoranza Pd potrebbe dunque non riguardare il Senato elettivo, che la Boschi ha definito «un punto chiave della riforma costituzionale».
Ma c’è un altro aspetto che l’opposizione interna a Renzi sta valutando. E cioè la spregiudicatezza del premier, i suoi voltafaccia una volta ottenuti i risultati che interessano a lui. L’elezione di Mattarella ne è l’esempio più eclatante, e anche quello che ancora brucia più dolorosamente: la minoranza Pd pensava di aver riconquistato un posto centrale nelle strategie del governo, ma dopo aver insediato l’uomo del Colle il segretario non ha abbandonato l’arroganza di sempre. Analogo trattamento è stato riservato a Forza Italia, blandita sulle riforme e poi scaricata al momento di individuare il profilo del candidato giusto al Colle.
Bersani e gli altri dicono dunque a Renzi: carte in tavola. Patti chiari. Se vuoi blindare l’Italicum, ci vuole chiarezza immediata sulla contropartita costituzionale. L’ambiguità della Boschi sulla fiducia alla legge elettorale lascia intendere che sul punto Palazzo Chigi non è in grado di prendere impegni. Del resto, ritornare al Senato elettivo non è un’operazione che si possa fare modificando un comma della riforma: significa ridiscuterne uno dei capisaldi. Tuttavia la chiusura non è definitiva, e a questi spiragli si appigliano Bersani e gli altri rottamati per sperare di tornare a contare ancora qualcosa nel partito.
Anche dal Nuovo centrodestra arriva un invito a Renzi a non forzare la situazione. Sulla legge elettorale «bisogna evitare la fiducia e anche il voto segreto», ha detto il nuovo capogruppo alla Camera di Area popolare, Maurizio Lupi: un modo per misurare la compattezza del Pd e della maggioranza senza il ricatto del «prendere o lasciare». E se il Pd non possiede questa sua coesione interna, significherebbe che «non c’è più una maggioranza in grado di governare il Paese. Le riforme non si fanno con i ricatti e al governo non c’è un monocolore Pd». Lupi e Boschi, due facce della stessa medaglia: il pantano istituzionale e politico dal quale il governo non riesce a liberarsi.