Potrebbe essere un buon momento per Forza Italia, con il calo di popolarità di Matteo Renzi, il governo alle prese per la prima volta con dimissioni e rimpasti, il Pd che sperimenta la pressione giudiziaria di magistrati in cerca di riflettori e di intercettazioni a strascico che colpiscono — attraverso i media — chi nemmeno è indagato più pesantemente degli altri.
Eppure Forza Italia è nel caos. Una confusione forse irrisolvibile. Al punto che Silvio Berlusconi (secondo quanto riportano i giornali della Puglia, che è l’epicentro dello scontro) avrebbe detto a Denis Verdini: «Le elezioni andranno male e io la faccia non ce la metto. Poi dopo, rifonderemo…». Parole che fotografano lo sfascio del partito. I «vecchi» che abbandonano (Bondi) o criticano (Romani). I «nuovi» che cercano di spadroneggiare dietro le quinte (Mariarosaria Rossi) o salvare il salvabile (Toti). Gli ex fedelissimi (Verdini) pronti a salire sul carro di Renzi. E i «ricostruttori» come Raffaele Fitto che guadagnano terreno.
L’ultimo sgambetto giocato dall’europarlamentare pugliese al Cavaliere riguarda le liste in Puglia: dopo aver subito il commissariamento regionale e l’imposizione di una candidatura a governatore non gradita (quella di Schittulli), Fitto è riuscito a mettere lo stesso Schittulli contro il partito. Questi aveva chiesto liste forti per sfidare il candidato democratico Michele Emiliano, e non le ha avute. Ora protesta vivamente e di fatto è confluito con i fittiani.
I sondaggi sono disastrosi. Nelle sette regioni in cui si vota il 31 maggio gli azzurri sono quotati al 12 per cento. Puglia e Campania (l’unica regione italiana guidata da un governatore di Forza Italia) da sole varrebbero il 3 per cento: perdere al Sud equivarrebbe dunque a non raggiungere il 10 per cento, che molti considerano la soglia minima sotto la quale scatterebbe il “rompete le righe generale”. In Veneto, stretto fra i leghisti di Salvini-Zaia e il fronte neocentrista di Tosi-Passera-Ncd (il sindaco di Verona ha addirittura scomodato il paragone con Sarkozy in Francia), il partito del Cavaliere sarebbe sprofondato al 7 per cento.
Si spiega anche così l’operazione di Tosi, che potrebbe prepararsi a incamerare una parte dei voti moderati in libera uscita dal movimento berlusconiano, oltre a raccogliere il malcontento dei leghisti meno estremisti che in Veneto non sono pochi. La forza del sindaco veronese si vedrà presto. Ma quello che si vede subito è la complessiva debolezza della rappresentanza centrista nella quale si colloca, soprattutto per le tensioni che attraversano il Nuovo centrodestra.
Le dimissioni di Lupi hanno portato alla luce tutte le contraddizioni di un partito che, in nome della «responsabilità», governa con Renzi a Roma e con la Lega a Venezia, che punta a fare l’ago della bilancia ma è ridotto a essere la ruota di scorta, e che non riesce più a controllare le divergenze tra i suoi leader. Emblematica è la situazione di Nunzia De Girolamo, capogruppo Ncd alla Camera, sempre più critica con la linea del segretario Alfano e di fatto sfiduciata dai suoi. Ma Alfano non è in grado oggi di sostituirla senza provocare un terremoto.
Se Forza Italia piange, i neocentristi non ridono. Matteo Renzi ne approfitterà per l’ennesima volta. E l’ultimo paradosso di questa situazione è che proprio Berlusconi ha campato a lungo sulle divisioni dei suoi avversari. Ora subisce la legge del contrappasso.