Tra una scivolata sul palco e un mazzo di fiori all’avversaria, passando per i soliti selfie con i suoi fan (compresa una foto dove è immortalato mentre fa le corna in testa a un ragazzino), Silvio Berlusconi è sceso in campagna elettorale. Scelta tutt’altro che scontata, visto che più di un osservatore aveva previsto nelle scorse settimane un sostanziale disimpegno del Cavaliere dalla competizione per le regionali in quanto tutto sembrava già perduto con Forza Italia in disarmo, la Lega di Salvini pronta a fagocitarla e Matteo Renzi tranquillo a banchettare sui resti del centrodestra.



Se Berlusconi si è lanciato nell’ennesima campagna elettorale significa che i margini per un buon risultato ci sono. I sondaggi continuano a non premiare Forza Italia, ma al Cav interessa fino a un certo punto: dopo aver rottamato il Pdl, l’ex premier è ormai deciso a disfarsi anche del movimento azzurro. La prospettiva è quella di fondare dopo l’estate il Partito repubblicano modello americano, un grande contenitore liberale e moderato. L’ha ripetuto anche ieri nel suo tour in Liguria in appoggio del consigliere Giovanni Toti: la sinistra si può battere, ha detto, «solo con un progetto liberale, capace di raccogliere il consenso di tutto il centro-destra moderato», di tutti «coloro che non si riconoscono nella sinistra».



Ciò comporta non soltanto tenere insieme gli azzurri, ma federare anche Lega, Fratelli d’Italia, Ncd, Popolari per l’Italia. Il percorso non è semplice, ma Berlusconi e il centrodestra — dopo tanto tempo — hanno la sensazione che Matteo Renzi sia tutt’altro che imbattibile e che il 41% delle europee di un anno fa sia un exploit irripetibile per i democratici.

Non ci sono soltanto le divisioni interne al Pd che puntellano le speranze del Cavaliere, perché le liti attraversano tutti i partiti: gli azzurri hanno Fitto e forse Verdini, la Lega ha Tosi e perfino il Nuovo centrodestra deve fare i conti con la fronda di Nunzia De Girolamo. Gli alleati veri di Berlusconi oggi sono tre. Il primo è la sentenza della Consulta sulle pensioni, che il governo Renzi si prepara a non rispettare restituendo una minima parte del dovuto. Se Forza Italia riuscisse a fare passare l’idea che Renzi è un nemico dei pensionati, avrebbe quasi la vittoria in tasca.



Gli altri due alleati del Cav sono i vincitori delle elezioni in Francia e Gran Bretagna, cioè Sarkozy e Cameron. Due leader di partiti moderati che sembravano in disarmo mentre hanno avuto un colpo di reni vincente non previsto dai sondaggi. Entrambi hanno cavalcato l’antieuropeismo non in chiave populista, a differenza dei vari Farage e Le Pen (e da noi Grillo e Salvini) ma promettendo di poter «pilotare» un cambiamento nei rapporti con Bruxelles, e quindi con Berlino. Disattendendo la sentenza sulle pensioni, Renzi si comporterebbe come Monti e Letta: ossequioso ai diktat europei sul bilancio e sprezzante verso i diritti (e i portafogli) dei propri connazionali.

Ecco dunque il rinnovato attacco al premier-segretario Pd, definito «il pericolo numero uno della democrazia», che «impone i suoi provvedimenti con una autorità e una violenza mai viste nella storia del Parlamento». E va sottolineato il fatto che Berlusconi abbia scelto proprio la Liguria per tornare in pista, regione dove i sondaggi danno la candidata del Pd in vantaggio esiguo su Toti per la presenza di Luca Pastorino, vicino a Cofferati, Sel e minoranza civatiana.

Renzi è convinto che le regionali saranno poco più di una passeggiata che sancirà la sua linea: i «vecchi» fanno perdere voti, soltanto lui è l’uomo vincente. Ma il rottamatore non tiene in sufficiente conto le tensioni interne e la leggerezza con cui egli stesso ha affrontato la questione morale in Campania sostenendo Vincenzo De Luca. Veneto, Liguria e Campania sono partite aperte, e lo sarebbe anche la Puglia se Forza Italia non si presentasse con due candidati. Se dall’attuale 5-2 si finisse 4-3, lo smacco per Renzi sarebbe clamoroso, forse al punto da indurlo alle dimissioni e al voto. Con una legge elettorale che si è cucito su misura.