Giovanni Toti che non esclude le primarie nel centrodestra. Matteo Salvini che s’immagina candidato premier e parla di «almeno cinque» possibili ministri dell’Economia «già pronti». Roberto Maroni che detta la linea comune sul nuovo triangolo verde-azzurro Milano-Genova-Venezia in tema di immigrati contro Alfano. Renzi e i suoi mobilitati a indebolire il rinnovato asse Lega-Forza Italia, anche sfruttando l’inchiesta sui favoritismi del governatore lombardo verso una paio di fanciulle. A una settimana dal voto regionale qualcosa si muove nel centrodestra, e non soltanto in superficie.



Che Salvini volesse sfruttare il vento favorevole, c’era da aspettarselo. Che Zaia e Maroni ostacolassero l’arrivo di nuovi clandestini (quest’ultimo addirittura minacciando tagli ai trasferimenti verso i comuni lombardi che aprissero le porte ai migranti), era nell’aria. Ma che un avallo a questa linea giungesse addirittura da Toti, l’uomo nuovo di Forza Italia, il consigliere politico di Berlusconi, il mediatore incaricato di ricucire con Verdini e Fitto, questa è una novità importante. Significa che il Cavaliere sta metabolizzando il risultato delle regionali. E che a poco a poco emerge una nuova prospettiva che non è più quella di ricomporre il centrodestra come lo conoscevamo finora.



Domenica scorsa la somma dei voti dati al «vecchio» centrodestra supera quelli presi da Renzi. E questo è un dato rilevante. Molti moderati non vanno più a votare, ma molti restano ancorati alle posizioni tradizionali: Renzi non appare più in grado di sfondare su quel fianco dello schieramento berlusconiano mentre i 5 Stelle non arretrano. Nemmeno Alfano riesce a calamitare consenso: il dato veneto è lampante, in una regione dove l’Udc aveva il 7-8 per cento ora l’Ncd ha portato a Tosi il 2 per cento.

Quindi, basta con i moderati alla Alfano e avanti con i pasdaran in camicia verde. L’importante è costituire una forza credibile in vista del 2018 che riesca ad arrivare al ballottaggio previsto dall’Italicum, per il quale oggi sarebbero favoriti i grillini. Salvini è convinto di avere l’investitura in tasca e vagheggia una squadra di governo fatta da gente “bella, pulita, coraggiosa e con le idee chiare”. Tra mille distinguo, Toti non lo esclude: «Che Salvini possa ambire a correre da premier mi sembra sotto gli occhi di tutti», ha detto ieri, anche se questo non equivale a «un’incoronazione» e la leadership del centrodestra «verrà decisa in futuro, anche con le primarie eventualmente» purché regolamentate da una legge.



Quella formata da Toti e Salvini appare una strana coppia. Duro, estremo, tagliente e strafottente il leghista quando l’azzurro è pacioso, sorridente, inclusivo e incline alla mediazione. Tuttavia Toti ha ben presente che anche in Liguria Forza Italia ha preso il 10 per cento e la Lega il 19; quindi chi tira ha la camicia verde e chi insegue il doppiopetto blu, e ciò si verifica anche dove vince il doppiopetto.

Oggi il bersaglio della sinistra non è più il Cavaliere indagato, ma Maroni (e Zaia) che taglia i fondi ai sindaci accoglienti e Salvini che incenerisce i campi rom. È ben vero che il regolamento di Dublino sui richiedenti asilo fu firmato nel 2003 dal secondo governo Berlusconi. Fatto sta che nel Pd, travolto dalle polemiche sugli impresentabili e su Mafia capitale, c’è sempre bisogno di un nemico-parafulmine su cui scaricare il malcontento. Tanto più che alla sinistra di Renzi va prendendo forma la «cosa rossa» di Maurizio Landini, il leader Fiom che ha chiuso ieri la prima convention di Coesione sociale e minaccia di erodere altro consenso al Rottamatore. Forse si spiega così — per fare un esempio — Renzi-so-tutto-io che ha ammesso qualche errore sulla riforma della scuola e si è detto disponibile a ridiscuterne una parte.