Un attacco così mirato Matteo Renzi non se lo aspettava. Un conto sono le critiche politiche, dalla minoranza interna e dall’opposizione parlamentare; e si tratta di critiche che il premier si è guadagnato negli ultimi mesi infilando un errore dietro l’altro, dall’agenda delle riforme alle sconfitte elettorali fino all’asservimento ai diktat tedeschi nella crisi greca. Ma un altro conto sono le bordate che gli stanno arrivando da altri ambienti, non politici, ma economici e soprattutto giudiziari.
L’attacco è culminato con le intercettazioni pubblicate l’altro giorno dal Fatto Quotidiano: brogliacci non rilevanti sotto l’aspetto penale ma che stanno provocando un terremoto per i giudizi su Enrico Letta, il lavoro sotterraneo per scalzarlo da Palazzo Chigi, il coinvolgimento di Giorgio Napolitano e del figlio Giulio. Si scatenano le ricostruzioni che portarono all’avvicendamento di Letta, come del resto pochi giorni fa politici e commentatori si sono sbizzarriti dopo la condanna di Silvio Berlusconi per aver «comprato» tre senatori determinanti nell’appoggio al governo Prodi nel 2008.
Forza Italia si concentra a chiedere chiarimenti, commissioni di inchiesta parlamentare, riforme restrittive sull’uso delle intercettazioni, dichiarazioni di pentimento da parte dei Napolitano. Ma c’è anche da chiedersi se qualcuno non stia tentando di aprire una fase di destabilizzazione in Italia minando il governo Renzi, approfittando della perdita di consenso e dell’indebolimento in Parlamento. Il suo operato resta deficitario soprattutto sul versante dell’economia, e la crisi greca secondo molte cancellerie avrà una coda in Italia. La Germania è sempre più determinata nel suo disegno egemonico, come conferma la durezza con cui il ministro Schauble ha proposto l’uscita della Grecia dall’euro per cinque anni.
Nei salotti economici italiani che contano l’esperienza renziana è giudicata al tramonto. Se n’è fatto portavoce Diego Della Valle che ha chiesto apertamente al presidente Mattarella di prendere atto di una parabola conclusa. Il patron di Tod’s sta lanciando il suo nuovo movimento politico, «Noi italiani», e ha tutto l’interesse a presentarsi come un nuovo rottamatore; al tempo stesso il malcontento del mondo imprenditoriale è evidente. In politica estera l’irrilevanza italiana è sotto gli occhi di tutti; a Berlino non piacciono né Renzi né la Mogherini.
Nei corridoi del potere si ragiona se non sia opportuno passare a un altro governo tecnico o «di emergenza», magari presieduto dalla seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, e Pietro Grasso non a caso sta tenendo testa ai leader del Pd renziano. Sarebbe il quarto esecutivo di fila non uscito dalle urne ma partorito da alchimie istituzionali. D’altra parte, andare a votare con un sistema elettorale zoppo e senza avere definito il destino del Senato è considerato un azzardo, mentre molti parlamentari farebbero carte false pur di non tornare a casa anzitempo.
Alla messa in guardia di partner europei e imprenditori, ora si aggiunge la pressione della magistratura. L’ultima condanna di Berlusconi suonava come un campanello d’allarme per Renzi: una riedizione del Nazareno è improponibile. C’è un aspetto poco considerato delle intercettazioni consegnate al Fatto da manine molto ben informate: esse risalgono a quando Renzi era semplice segretario del Pd e sindaco di Firenze. I pm lo tenevano sotto controllo già prima che arrivasse a Palazzo Chigi. Chissà cos’altro avrà detto il rottamatore su amici e nemici. E l’uscita di queste (prime?) trascrizioni suona come un avvertimento delle toghe al premier, lanciato tramite il loro bollettino semi-ufficiale.