Matteo Renzi ha convocato l’assemblea nazionale del Pd nei padiglioni di Expo per dare un’accelerata al Partito della nazione che non ha ancora accantonato. Il simbolo di quest’accelerazione è il rilancio di una promessa tutta berlusconiana: la cancellazione nel 2016 delle tasse sulla prima casa. Siamo tornati al 2006, in campagna elettorale, quando il Cavaliere estrasse quest’arma della disperazione a conclusione del faccia a faccia televisivo con Romano Prodi. E infatti proprio i prodiani (l’onorevole Sandra Zampa, ex portavoce del Professore, ha usato i toni più duri) e i bersaniani hanno contestato l’ennesima promessa del loro premier-segretario. Avevano criticato Berlusconi, ora non possono dirsi a favore.

Renzi sapeva che la sua mossa avrebbe creato problemi al Pd. Ma se ha dato un colpo alla minoranza, è perché sa che presto potrebbe concludersi la marcia di avvicinamento al governo di Verdini e della sua pattuglia in progressivo distacco da Forza Italia. Una rivoluzione fiscale che ripropone canoni lontani dalle tradizionali ricette della sinistra per sposare invece i tagli invocati dal centrodestra è un’esca lanciata proprio al mondo che gravita attorno a Berlusconi ed è indeciso se restare nell’orbita dell’ex premier o tagliare definitivamente i ponti. A metà della settimana Verdini dovrebbe sciogliere gli ultimi dubbi. Il segnale verrà nel momento di riassegnare la presidenza di alcune commissioni parlamentari. Un episodio passato in secondo piano nei giorni scorsi farebbe intendere che la direzione è già intrapresa: giovedì gli uomini di Verdini con la loro presenza alla Camera hanno garantito il numero legale alla seduta. E hanno così consentito alla maggioranza di votare la riforma della Pubblica amministrazione.

Ma Berlusconi non sta a guardare. Nelle ultime uscite pubbliche ha alzato con forza i toni, invitando i suoi addirittura a “fare la rivoluzione” se i magistrati dovessero privarlo della libertà. Insiste a rilanciare una nuova area politica “senza politici”, quella che ha chiamato “Altra Italia” che – nei suoi progetti – dovrebbe affiancarsi a Forza Italia in una nuova federazione per riportare al voto la massa di ex elettori di centrodestra delusi. Una “Casa della speranza” (altro nome che ha visto la luce in questi giorni) che si aggiungerebbe a un altro condominio edificato in passato dal Cav: la Casa delle libertà.

Se Renzi rallenta il ritmo e perde consensi per l’indecisione riformista e il fallimento delle amministrazioni locali (Roma, Milano, la Sicilia), Berlusconi deve arare il campo avverso. Non può più dare l’impressione di alimentare la “politica dei due forni”, ma deve puntare alla ricomposizione del centrodestra, tentare un’operazione federativa e consolidare il rapporto con la Lega di Salvini. Non vuole chiudere Forza Italia, un marchio riesumato e già decotto che però non può essere nuovamente archiviato in un balletto poco credibile. Berlusconi manterrà il nome storico mettendogli a lato un movimento ricalcato su quanto fatto a Venezia dal neo sindaco Brugnaro: personaggi della società civile estranei alla politica. Forza Italia resta, ma c’è un’«Altra Italia» da riconquistare, quella dei delusi. La manovra sarà accompagnata sul territorio da eventi e appuntamenti capillari per riavvicinare l’elettorato perduto all’insegna di una proposta politica lontana dai “professionisti della politica” con cui si vuole identificare il Pd. Eventi seguiti anche da una campagna di autofinanziamento. Su questa operazione veglierà un comitato di 20 “saggi” con il compito di rielaborare il programma liberale che vinse nel 1994, prima che Renzi gliene strappi altri brandelli. E dietro le quinte, il Cav si muoverà per convincere i verdiniani che la strategia migliore non è quella del banchiere fiorentino, ma la sua.