Il modo con cui si è arrivati a nominare i nuovi vertici della Rai ha riacceso la domanda se Pd e Forza Italia siano avviati verso una riedizione del patto del Nazareno. L’interrogativo da mesi galleggia come in un fiume carsico, sotterraneo, invisibile quanto reale. Ovviamente appena la questione riaffiora si leva un coro di scandalizzati oppositori contro il tiranno di Arcore. Come se, in questo momento, fosse Berlusconi quello che preme per riprendersi la scena.
In realtà, oggi come quando fu approvato l’Italicum, il Nazareno fa più comodo a Matteo Renzi che a Silvio Berlusconi perché gli consente di mandare avanti i provvedimenti del governo senza cedere alla minoranza interna. Quanto al Cav, l’alleanza sulle riforme gli è soprattutto costata qualcosa nei sondaggi senza restituirgli maggiori possibilità di rivincere le elezioni: con l’Italicum infatti i favoriti per il ballottaggio sono Pd e 5 Stelle, non certo Forza Italia.
Ma Berlusconi non chiude al dialogo. I suoi uomini fanno sapere che di Nazareno-bis non si parla affatto, ma la porta per il premier resta aperta. Mediatori come Romani e Toti l’hanno ripetuto anche ieri. Il ragionamento degli azzurri è che Renzi da solo non va da nessuna parte. La sua maggioranza al Senato si sta assottigliando di giorno in giorno e la montagna di emendamenti che attendono la riforma del Senato mostra che la sinistra interna al Pd non ha intenzione di ammorbidire le proprie posizioni. Il Vietnam parlamentare, finora superato a colpi ripetuti di un napalm chiamato fiducia, paralizza i cambiamenti istituzionali. La spaccatura interna ai democratici, che a ottobre potrebbe portare alla formazione di un nuovo gruppo parlamentare di dissidenti, blocca il superamento del bicameralismo perfetto.
Forza Italia, nonostante le scissioni operate da Fitto e Verdini, ha ancora i numeri per essere determinante sulle riforme. Ma il capo del governo deve cedere su qualche punto. I mediatori sono al lavoro per verificare se sia possibile combinare il monocameralismo con un Senato elettivo, e non nominato secondo l’ipotesi di Renzi: ne ha parlato ieri Cesare Damiano, esponente della minoranza Pd non troppo ostile a Renzi. Si fa capire che ripristinare l’elezione della Camera alta togliendole parte dei poteri attuali potrebbe rappresentare un compromesso accettabile.
Ma per gli azzurri la vera posta in gioco è un’altra, che rimane sottotraccia. È la modifica dell’Italicum con il ritorno al premio di maggioranza per la coalizione anziché alla lista. Ciò rimetterebbe in pista il centrodestra. Con il premio alla coalizione il ballottaggio sarebbe infatti centrodestra/centrosinistra mentre, con le regole da poco approvate, al secondo turno se la vedrebbero democratici e pentastellati.
Renzi e i suoi (ieri è toccato alla Serracchiani) ripetono che da quell’orecchio non ci sentono, e il presidente emerito Napolitano ha dato loro manforte. Tuttavia nella segreteria Pd si fanno i conti. È vero che il Pd non avrebbe grandi gruppi politici con cui coalizzarsi dato che il segretario punta a un onnivoro Partito della nazione, ma con il calo di consensi in atto la vittoria con l’Italicum attuale non è più così scontata. Al ballottaggio 5 stelle e Lega potrebbero riservare sorprese amare per il rottamatore. Renzi da solo non ce la fa: l’osservazione vale non soltanto per il cammino delle riforme ma anche per le prospettive elettorali.
Insomma, non sarà un Nazareno-bis in forma ufficiale, ma l’accordo sulle nomine Rai apre davvero nuovi scenari per il resto della legislatura. A meno che Renzi non voglia giocare d’azzardo e tirare dritto scommettendo sull’attaccamento alla poltrona dei senatori Pd: davanti a una minaccia di elezioni anticipate le fronde interne smetterebbero di agitarsi. Nessuno vuol perdere un seggio che non potrà più riavere.