Uno a New York alla finale tutta italiana del torneo di tennis più famoso al mondo, l’altro in Crimea ad ammirare Yalta e resti antichi. Uno sulle orme di Pertini (Madrid 1982) e Prodi (Berlino 2006), che cercavano popolarità improvvisandosi tifosi; l’altro alla caccia di una legittimazione internazionale presso il vecchio amico che si sta muovendo abilmente sullo scacchiere mediorientale. Mentre le seconde file di Partito democratico e Forza Italia provano a disinnescare ognuno i propri terreni minati, i leader Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si gingillano uno con le racchette della Pennetta e l’altro con le icone del principe Vladimir.

Stasera il Cavaliere sarà a San Siro per il derby Inter-Milan. In tribuna dovrebbe vedere Salvini e concordare un incontro in settimana, forse mercoledì. Ormai la strada per Forza Italia è obbligata: la ricostruzione del centrodestra passa per un nuovo accordo con la Lega più che con il partito di Angelino Alfano. La settimana in Crimea doveva servire per verificare questa ipotesi al riparo dai riflettori della ribalta. Gli sherpa hanno lavorato e alla fine si è capito che Renzi non cederà sul premio di maggioranza alla coalizione invece che alla lista, com’è oggi.

In questi giorni il leader azzurro si è guardato dal parlare di politica italiana concentrandosi sugli scenari internazionali, la lotta all’Isis e il sostegno ai governi arabi riformisti: così ha fatto anche ieri collegandosi al telefono con i giovani del partito riuniti a Fiuggi. Voleva evitare ogni azione di disturbo per i tentativi di mediazione su riforme e legge elettorale. Gli è andata male. Renzi è convinto di riuscire a piegare le resistenze interne e perciò di avere i voti sufficienti a far passare il nuovo Senato. Dalla sua ha anche il regolamento di Palazzo Madama dove (a differenza di Montecitorio) gli assenti abbassano il quorum e quindi favoriscono un governo in affanno come l’attuale.

L’altro elemento che ha indotto Berlusconi a virare con decisione verso Salvini è l’autocombustione del Nuovo centrodestra. Il Ncd è scoppiato, Alfano e pochi altri si salveranno nell’abbraccio renziano (Angelino pare che abbia strappato il posto da governatore siciliano dopo Crocetta) mentre il grosso non trova dove accasarsi. Nemmeno il Cavaliere sembra disposto ad accoglierli: i centristi non portano voti ma soltanto guai, e con un partito al 10 per cento (i sondaggi sono tutti impietosi) Berlusconi fa già fatica a promettere riconferme ai fedelissimi, figurarsi agli ultimi arrivati. Renzi invece non li degna di considerazione: gli sfilacciamenti del Ncd non lo riguardano, alla bisogna c’è sempre una ruota di scorta affidabile chiamata Verdini e i suoi 15 transfughi azzurri.

Renzi preferisce Verdini, Berlusconi non accetta centristi manco in cambio di uno sgambetto a Renzi, il che comunque non sarebbe un grande regalo per Forza Italia: un eventuale voto anticipato calerebbe come una falce sugli azzurri. E quindi il rientro dalla Russia ha un solo motto, avanti con Salvini. «Abbiamo governato dieci anni con Bossi, troveremo anche l’intesa con Salvini», ha detto un Renato Brunetta insolitamente conciliante con il leader leghista, il quale però ha ribattuto che «un accordo con Forza Italia è importante ma non fondamentale».

Un patto alla fine verrà stretto perché a nessuno dei due, azzurri e verdi padani, conviene correre altrettante corse separate che non porteranno da nessuna parte. L’altro giorno Giovanni Toti ha incontrato a Milano Roberto Maroni e Giorgia Meloni: un altro passo verso la ricomposizione del centrodestra. Toti può esibire il risultato delle regionali in Liguria, vinte a sorpresa dal centrodestra unito. Assieme si vince, ripete il Cavaliere; la coalizione con il Carroccio ha valori profondi, gli fa eco Toti. Il tempo dei favori al Pd appare definitivamente terminato.