Il momento non è dei migliori per Matteo Renzi e il suo governo, urge sterzata mediatica. È sabato, le notizie sono poche, le inaugurazioni ancora meno, così il premier diffonde la newsletter periodica Enews. Rivendica all’esecutivo il miglioramento dello spread con i titoli tedeschi e spagnoli, puntualizza lo stato dei rapporti con la Merkel e l’Ue («L’Italia non va in Europa a battere i pugni sul tavolo», ma chiede «rispetto» e «regole uguali per tutti»), accelera sulle riforme: a ottobre si farà il referendum perché il calendario delle varie letture di Camera e Senato è ormai in discesa. «Saranno semplicemente gli italiani, e nessun altro, a decidere se il nostro progetto va bene o no», specifica.
Ancora una volta Renzi attacca i gufi usando le statistiche pro domo sua: dice per esempio che la disoccupazione scende ma tace sul numero degli inoccupati. E infine elenca 10 «partite di grande importanza», ovviamente ignorate da giornali e tv, su cui si impegnerà nelle prossime settimane: dall’agroalimentare alla riforma della pubblica amministrazione fino al Codice degli appalti.
I lettori delle notizie renziane avrebbero però voluto anche altre informazioni: per esempio, chiarimenti sulla vicenda di Banca Etruria, nel giorno in cui il Corriere della Sera ha svelato che lo scandalo sfiora società legate alla famiglia Renzi finanziate generosamente dall’istituto di cui era vicepresidente il padre del ministro Boschi. Silenzio pure sull’imminente voto sulla legge Cirinnà e le unioni civili, contro il quale Alfano batte pesantemente i pugni. Ma non vi è cenno nemmeno al caso del giorno, il clamoroso dietrofront sulla cancellazione del reato di immigrazione clandestina, sbandierato e rimangiato.
Il decreto già pronto è stato improvvisamente ritirato. E anche in questo caso è evidente l’intervento del ministro dell’Interno. Renzi voleva lanciare un segnale di intesa alla sinistra e alla minoranza interna, un segnale che avrebbe fatto il paio con l’accelerazione sulle unioni civili. Ciò tuttavia sarebbe andato a scapito dei centristi, sempre più ridotti al ruolo succube di passacarte. L’abolizione del reato di clandestinità aveva un preciso valore simbolico: cancellare un provvedimento del governo Berlusconi voluto dalla Lega che ha complicato la gestione dell’emergenza senza combattere efficacemente i flussi in arrivo da Africa e Medio Oriente ed era già stato bollato da Bruxelles.
Ma la mossa aveva due controindicazioni. Avrebbe dato un argomento in più al centrodestra proprio nel momento in cui le tensioni sull’immigrazione esplodono (dopo la Francia) anche in un Paese accogliente come la Germania, e poi Alfano non la voleva per non dare l’impressione che il Viminale intendesse allentare la pressione. Renzi, che ha fiuto per cogliere gli umori dell’elettorato, ha capito che non è aria per intervenire sui temi dell’immigrazione.
Così la bozza è rientrata nel cassetto e il leader di Area popolare può cantare vittoria. Ma fu vera gloria? Difficile pensarlo. La mossa è in realtà un contentino che il premier ha concesso all’alleato, sapendo che tra qualche settimana gli rifilerà un ceffone quando farà approvare la legge Cirinnà con i voti dei grillini. Alfano ha disperatamente bisogno di visibilità e di mostrare che i centristi non sono soci di serie B. Un altro terreno su cui l’ex azzurro punterà i piedi è l’imminente rimpasto di governo, nel quale l’obiettivo minimo è il ministero lasciato vacante oltre un anno fa da Maria Carmela Lanzetta.
Se le aspettative dei centristi saranno soddisfatte nella distribuzione delle nuove poltrone, Alfano non lancerà una crociata contro le unioni civili. Alzerà sì un polverone, magari si unirà alle proteste di piazza del mondo cattolico, tuttavia non riuscirà a fermare il provvedimento. Sarà Renzi a cantare vittoria. Ma per ora, sulla Enews, meglio sorvolare.