C’era una volta Giulio Andreotti e la sua teorizzazione della «strategia dei due forni». Se Aldo Moro diede dignità politica all’assurdo geometrico delle convergenze parallele, il Divo Giulio — che era più terra terra — ammise che quando hai bisogno di comprare più pane devi rivolgerti a due fornai. Fuor di metafora: ai governi a guida Dc, partito di maggioranza relativa, era lecito rivolgersi ora alla sinistra (cioè ai socialisti) ora alla destra liberale per fare approvare i provvedimenti.
Ed ecco Matteo Renzi. Dopo aver imitato Silvio Berlusconi (via le tasse sulla casa, via l’articolo 18, liti con la Merkel), il premier si è messo sulle tracce di Andreotti. Ma per il rottamatore due forni sono pochi. L’appetito è abbondante, le bocche da sfamare si moltiplicano e il pane non basta mai. E di conseguenza le rivendite cui rivolgersi sono in continuo aumento.
Il primo è stato il forno Alfano. Pagnotte e ciabatte di area popolare indispensabili per avere la fiducia delle Camere. Il secondo stava in largo del Nazareno, proprio nella sede del Pd, dove fu siglato il patto con Berlusconi. Poi venne eletto Mattarella al Quirinale e quella rivendita fu chiusa. Il terzo forno è targato Verdini e funziona a giorni alterni, come le targhe delle auto che possono circolare a Roma. La legge di stabilità, per esempio, non ha avuto i voti dei verdiniani contrari a mettere la fiducia sul pacchetto legislativo. Ma lo spauracchio funziona.
In meno di due anni a Palazzo Chigi, Renzi ha applicato sistematicamente la tecnica delle maggioranze variabili. Con spregiudicatezza il premier non ha esitato a usare ora Berlusconi ora i fuggitivi da Forza Italia per tenere unire le truppe parlamentari del Partito democratico. Se la minoranza interna minacciava qualche strappo, c’era sempre pronto un soccorso azzurro (o ex azzurro) che induceva i ribelli a restare sotto le insegne della Ditta.
Adesso Renzi ha inaugurato un quarto fornitore, il forno a Cinque Stelle. Ha già funzionato una volta, prima di Natale, quando dovevano essere scelti i tre membri della Corte costituzionale di nomina parlamentare. L’operazione potrebbe ripetersi tra pochi giorni al momento di votare il provvedimento sulle unioni civili. Se Verdini è la ruota di scorta per tenere a bada la minoranza del Pd, le truppe di Grillo servono per integrare le probabili defezioni dei centristi su un tema divisivo, sul quale Area popolare non ha mai accennato a cedimenti: quello del riconoscimento delle coppie gay e della possibilità dell’adozione.
Alfano, Berlusconi, Verdini, Grillo. La variegata collezione di alleati messa assieme da Renzi non ha precedenti. Come un’aspirina che si tiene in tasca per prenderla al bisogno, il premier si preoccupa sempre di avere una carta di riserva quando si tratta di fare approvare un provvedimento di peso. In questo il leader del Pd non segue le orme della politica berlusconiana: il Cav perdeva i pezzi, da Casini a Fini fino ad Alfano e Verdini, e tentava di sostituirli con gli Scilipoti. Invece Renzi sceglie i partner a seconda del provvedimento da varare.
La domanda è se questa politica dei forni multipli è in grado di reggere. Nel breve periodo consente di ottenere qualche risultato e alimentare la macchina della propaganda, ma con il tempo la maggioranza che sostiene il governo si indebolisce. Renzi non vuole unire forze e tenere insieme alleati in vista di un disegno politico comune: cerca stampelle a ogni costo. Grillo non sarà mai un alleato del governo, la sinistra interna al Pd non spaccherà il partito e — almeno all’apparenza — la maggioranza che nel 2014 ha votato la fiducia all’esecutivo. In realtà si è logorata, ma per Renzi tutto è a posto. In attesa di un altro forno.