Il fantasma di Ignazio Marino che riemerge da un passato che credeva ormai sepolto è l’ultimo incubo di Matteo Renzi. Un pm l’aveva fatto dimettere da sindaco di Roma, un altro magistrato l’ha assolto dalle accuse, tutte. In mezzo però si trova un personaggio che era — ed è tuttora – il segretario del Pd, che non difese l’indagato con tessera del suo partito, lo fece dimettere con ignominia, scelse per sostituirlo un candidato perdente in partenza, e in definitiva si è fatto sfilare la guida della capitale appena strappata al centrodestra.

Oggi tuttavia questo personaggio tace. Renzi fa finta che il caso Marino non esista: non commenta in pubblico e nemmeno telefona in privato. L’ex sindaco dice di essere stato impallinato (e non dalla magistratura ma dalla politica), grida al complotto, indica la mano di un sicario e annuncia che farà campagna per il No al referendum. E Renzi zitto. Crede di vivere ancora in provincia dove ciò che non è scritto sui giornali locali semplicemente non è successo, mentre è stato censurato da chi manovra nella stanza dei bottoni.

La nuova strategia di Renzi è ignorare i fatti e cercare di imporre la propria “narrazione” (grazie al controllo totale sulla Rai e ai molti giornali amici) come se fosse vera. Un’operazione non di riforma, di cambiamento, non parliamo di rottamazione che ormai riguarda soltanto il povero D’Alema e nient’altro; ma un colpo di cipria, un tocco di belletto. La cosmetica al potere, con estrema disinvoltura. Il commissario Ue Moscovici apre alle richieste italiane di flessibilità per la presunta “emergenza populista”: in realtà l’economia va così male che Bruxelles non può permettere che Roma diventi una nuova Atene al cubo. I numeri dell’economia sono disastrosi; dalla Corte dei conti alla Ragioneria dello stato fino alle commissioni parlamentari di controllo, non c’è un’istituzione che accrediti le percentuali di crescita sbandierate dal governo. Eppure per Renzi questa discussione è “spassosa”. Beato lui che si diverte a distribuire patenti di falsario, in Italia è l’unico perché invece la gente pensa che il premier sia come quelli che ballavano sul Titanic. Se non fosse una realtà preoccupante, sarebbe in effetti uno spasso vedere un premier che progetta il ponte sullo Stretto e parla di “industria 4.0” mentre il Pil non si muove.

Ma quella di Renzi è un’Italia capovolta anche quando si tratta di riforme. Aveva detto di aver imparato la lezione per la quale era stato rimproverato perfino da Giorgio Napolitano, cioè l’errore di avere personalizzato la campagna elettorale sul referendum; invece l’altro giorno a Torino ci è ricascato (“se perdo cambio mestiere”), salvo correggersi tardivamente e rovesciare la frittata: contro chi voterà Sì al referendum sulle riforme “c’è una caccia all’uomo mediatica”, ha detto riferendosi agli attacchi a Roberto Benigni. Ma dovrebbe fornire anche i dati sulla propria presenza radiotelevisiva, visto che la campagna per il Sì la stanno facendo soltanto lui e la ministra Boschi. 

Perfino i giornali della grande finanza angloamericana (Wall Street Journal e Financial Times) gli rimproverano di aver perso il tocco magico: ma per Renzi i giornali stranieri (freschissima è una sua intervista patinata aVogue International) “non hanno mai avuto una perfetta percezione delle cose dell’Italia”. E colui che l’ha insediato a Palazzo Chigi, cioè Napolitano, si sta muovendo per predisporre una “exit strategy” in caso di vittoria dei No al referendum. Ma non ditelo a Renzi, non smetterebbe più di ridere.