Dicono che Silvio Berlusconi e Donald Trump abbiano alcuni tratti simili: imprenditori diventati politici, ricchissimi, tycoon dei media cui piacciono le belle donne, appassionati alle cravatte napoletane di Marinella, vincitori a sorpresa delle elezioni pur essendo estranei ai partiti. Ora li accomuna anche una frase che Trump rese celebre al reality show televisivo The Apprentice: quel “you’re fired”, sei licenziato, con cui The Donald mandava a casa i concorrenti più sfortunati.
Stavolta la sfortuna ha guardato male Stefano Parisi che si è beccato un inaspettato “you’re fired” dal Cavaliere. Sabato Berlusconi aveva sciolto le riserve verso l’ex direttore di Confindustria, o almeno così sembrava. L’intervista al Corriere in cui diceva che il Dna del centrodestra è moderato e popolare era un via libera a Parisi proprio nel giorno in cui Matteo Salvini convocava a Firenze i militanti leghisti per candidarsi alla guida della coalizione. Ieri mattina invece il vecchio leader ha licenziato le ambizioni del candidato sconfitto di Milano: “Parisi cerca di avere un ruolo nel centrodestra, ma avendo questa situazione di contrasto con Salvini credo che questo ruolo non possa averlo”. Parole dette a Radio Anch’io che nessuna delle proverbiali retromarce del Cavaliere, per quanto acrobatica e ipotetica, potrà smentire.
In tre giorni dalle stelle alle stalle. Per Parisi si mette male. In serata è andato a Porta a porta dove ha malcelato la sorpresa e il disappunto (il manager era di ritorno da Londra e non era stato informato della controsvolta berlusconiana) garantendo che andrà avanti lo stesso: “Se Berlusconi vuole che Salvini sia il leader del centrodestra perderà le elezioni. L’Italia non è lepenista e non si governa con le ruspe. Il problema non è recuperare qualche leader ma 10 milioni di voti”. E poi la frecciata: “Non so cosa sia successo tra venerdì e ieri, non so che cosa succeda nei palazzi. Io vado avanti perché mi sono assunto delle responsabilità”.
Avanti dove, c’è da chiedersi. Parisi finora non ha sfondato. Alle elezioni di Milano ha compiuto una grande rimonta ma ha perso, e nella coalizione c’era la Lega. Nel tour Megawatt di questi mesi non ha radunato grandi folle, né si capisce bene quanta gente della “società civile” abbia raccolto attorno a sé. Perché il compito affidatogli da Berlusconi era questo: mettere ordine nel partito e recuperare il consenso perduto allargando la base di simpatizzanti. Oltre a ciò, Parisi non ha brillato per diplomazia e capacità di mediazione: ha litigato con Salvini ma non riesce ad andare d’accordo nemmeno con Alfano, Verdini, Quagliariello e centristi vari dispersi qua e là. Se non riesce a fare il federatore all’ombra di Berlusconi, difficile che possa esserlo senza la rete protettiva del Cav.
Che cos’è successo in tre giorni è abbastanza chiaro. Lunedì sera ad Arcore c’è stata una cena tra Berlusconi e Giovanni Toti, governatore ligure e azzurro che più di ogni altro difende l’asse con Salvini a costo di apparirne subalterno (cosa che l’ex premier gli rimprovera appena può). Toti ha spiegato a Silvio che gli elettori residui del centrodestra vogliono messaggi chiari: niente litigi, Renzi a casa, No al referendum.
È senz’altro presto per Forza Italia per parlare di alleanze e coalizioni con la Lega, visto che non si sa ancora quando si andrà a votare e con quale legge elettorale. Tuttavia è sempre il momento per fare i conti e capire che senza la Lega si perde. “Tutti i partiti di centrodestra sanno che se rompono la coalizione si condannano all’irrilevanza”, ha detto Berlusconi a Radio Rai. Vale per la Lega, ma anche per Parisi.