Il tiramolla è stato lungo. Mi dimetto, non mi dimetto, forse mi dimetto, mi dimetto per essere reincaricato. Le possibili combinazioni del Renzi-pensiero-dopo-il-referendum sono state innumerevoli. Un punto ora sembra essere diventato fermo, e non l’ha posto lui ma il presidente della Repubblica. Renzi resta anche dopo il 5 dicembre, e anche se prevalesse il No. Il premier stesso l’ha detto ieri: l’Italia non resterà senza governo, gliel’ha chiesto Mattarella.
Altro che le presunte rivelazioni del Foglio, secondo le quali Renzi darà le dimissioni anche se trionferà il Sì. Il che, si dice, sarebbe un modo per mostrare che il premier-segretario non è attaccato ai record di durata né intenderebbe capitalizzare la vittoria portando il Paese alle urne, ma al contrario vuole rafforzare (allargandola) la coalizione che lo sorregge anche nell’ultimo miglio, quello nel quale di solito si ha un solo pensiero: non limitarsi a puntellare l’esecutivo ma vincere le elezioni prossime venture. Il Renzi-1 avrebbe portato a termine la missione affidata da Napolitano: fare le riforme. Ora sarebbe il momento di un Renzi-2 tutto politico, magari esteso ufficialmente a Verdini e a frange di Sel che non tollerano certe derive filo-grilline.
A sostegno non delle dimissioni ma della prosecuzione governativa c’è un’indiscrezione che prende sempre più piede. E cioè che Denis Verdini, l’uomo più esperto di leggi elettorali in Italia dopo Roberto Calderoli detto “Porcellum”, non soltanto è già al lavoro per una riforma che vada oltre l’Italicum, ma addirittura avrebbe già in tasca un mezzo accordo con Silvio Berlusconi. E questa ipotesi resterebbe in piedi non soltanto nel caso — obbligato — in cui l’Italicum dovesse essere rivisto dopo la vittoria del No, ma anche se prevalesse il Sì. Il motivo è che dalle parti di Palazzo Chigi si nutre una sostanziale sfiducia su come la Consulta si pronuncerà sulla costituzionalità dell’Italicum.
Mattarella ha detto che il suo compito è sostanzialmente quello del “persuasore occulto”, e che questi suoi poteri si esplicano nel silenzio. Ma la “moral suasion” si sta spingendo a livelli difficilmente immaginabili per un uomo riservato come lui. E cioè a ispirare la nuova legge elettorale. L’ipotesi su cui lavora Verdini infatti assomiglia molto al Mattarellum che uscì dal Parlamento dopo il referendum voluto da Mariotto Segni quasi 25 anni fa. Cioè un misto tra collegi uninominali e liste proporzionali senza preferenze ma con listini bloccati: in origine era 75 per cento uninominale e 25 proporzionale, stavolta si potrebbe arrivare a 50-50.
Ovviamente sarebbe previsto un premio di maggioranza — diciamo un 15 per cento — per la coalizione (o la lista, ancora non è definito) che prende più voti. Uno schema che garantirebbe governabilità e potrebbe essere accettato anche da Berlusconi, che presenterebbe il simbolo di Forza Italia ed eviterebbe ancora le preferenze lasciando alle segreterie dei partiti (e non agli elettori) il compito di individuare i nomi dei futuri parlamentari.
È un lavorio che si svolge dietro le quinte. Ma il fatto che improvvisamente questo scenario sia venuto alla luce è un segnale importante: Renzi vuol fare sapere alla minoranza interna che le modifiche all’Italicum ci saranno, vuole vincere i dubbi degli scettici che non si fidano delle sue promesse. D’altra parte, anche il Cavaliere va ripetendo che in caso di vittoria del No lui ci sarà per riscrivere assieme la legge elettorale.