Rombano i motori delle 500 bianche, sventolano le coccarde con la scritta “Io voto No”. La campagna referendaria di Forza Italia è finalmente partita con l’attesa discesa in campo di Silvio Berlusconi. Rientrato da un altro check-up a New York, il Cavaliere sembra avere ritrovato le energie per rientrare nell’agone direttamente, e non soltanto attraverso videomessaggi. A Villa Gernetto ha incontrato 150 giovani inviandoli in “missione” in Italia. Le foto li mostrano seduti, composti, in ascolto devoto, vestiti di una pettorina azzurra che li proietta come piazzisti da gazebo.
Berlusconi dice che andrà in tv, che il suo ritorno è in grado di spostare addirittura il 5 per cento dei suffragi a favore del No e soprattutto che i sondaggi sono favorevoli. Quando c’è di mezzo un sondaggio il Cav non resiste. Sono proprio queste rilevazioni ad averlo spinto, nonostante egli sostenga che “trattative trasversali non ci interessano e non ci riguardano, il nostro impegno è una scelta di merito, contro una riforma inutile”. Di fatto, il problema suo, e di Forza Italia, è posizionarsi per il dopo voto. Se gli analisti continuano a dare in testa il No con il passare dei giorni, la sconfitta renziana è sempre più probabile.
Il passaggio successivo sarà la fase-due. Il leader azzurro ne ha parlato, per sua stessa ammissione, anche con il capo dello stato nel recente colloquio al Quirinale. A Mattarella ha detto che il centrodestra vuole elezioni anticipate: “L’ultimo capo del governo eletto dal popolo sono stato io nel 2008”, ha detto Berlusconi ai giovani di Forza Italia. Votare subito per cavalcare l’onda del tracollo di Renzi, che magari si dimetterà pure, riceverà un secondo incarico “ponte” e si avvierà alle urne come fossero un patibolo.
Ma chi uscirà vincitore dalle urne con l’Italicum? O meglio, si andrà davvero a votare con l’Italicum? E il centrodestra che possibilità ha? In realtà, il ricorso alle elezioni anticipate non è una carta che Berlusconi può spendere. Il Cav deve prendere tempo per affrontare al meglio il dopo-referendum. Dice che Renzi agita lo spettro dell’instabilità, che un argomento della campagna elettorale sarà il “fear factor”, il fattore paura.
Il premier, secondo Berlusconi, giocherà sui timori degli italiani che la crisi abbia un’accelerazione mentre – dice ancora il Cavaliere – l’aumento dello spread non dipende dalle preoccupazioni delle cancellerie europee, quanto dalle scelte politiche ed economiche sbagliate. Fatto sta che lo spread tra Btp e Bund ha superato quota 160, portando la differenza con i titoli tedeschi ai massimi dalla Brexit di giugno. E il ministro Padoan ripete il ritornello sui timori dei mercati: hanno paura che si interrompa l’azione di politica economica avviata da questo virtuoso esecutivo.
È vero che il governo ha varato una manovra osteggiata da Bruxelles, ma resta anche il fatto che nessuno in Europa si augura uno scivolone di Renzi sul referendum con un’Italia che ripiomba nell’incertezza. Berlusconi se ne intende di navigazioni nella tempesta dello spread e non può permettersi che gli venga ripresentata l’accusa di aver nuovamente favorito (con l’eventuale successo del No) l’instabilità finanziaria.
E sa che ben difficilmente Mattarella scioglierà subito le Camere in caso di vittoria del No: come minimo occorrerebbe varare una legge elettorale per il Senato che un Parlamento lacerato non sarebbe in grado di varare in un paio di mesi. Così riprendono corpo i sospetti di uno come Matteo Salvini, che a proposito di Forza Italia ritorna a parlare di inciucio, di attaccamento alla poltrona, di voglia di sedersi al tavolo del dopo referendum per negoziare un posto al sole.