A meno di imprevedibili ripensamenti notturni, oggi Paolo Gentiloni sarà incaricato di formare il nuovo governo. Nei corridoi della politica si vociferava che il presidente Sergio Mattarella avrebbe convocato al Quirinale l’attuale ministro degli Esteri già ieri sera. Poi è prevalsa la prudenza. Non tutti i giochi sono fatti nel centrosinistra per il dopo-Renzi.
La prima incognita riguardava Forza Italia ed è stata spazzata via da Silvio Berlusconi quando con la delegazione azzurra ha detto che il partito non sarebbe stato disponibile a governi di larghe intese, o a una grande coalizione. Niente modello tedesco né spagnolo per i moderati di centrodestra, che si sono uniformati alla linea oltranzista di Lega Nord e Fratelli d’Italia, con l’unica differenza che il Cavaliere ha ribadito la disponibilità (già annunciata prima del referendum) a partecipare all’elaborazione di una nuova legge elettorale.
Il no di Berlusconi ha spento le speranze del Pd di un governo di responsabilità nazionale auspicato per primo da Renzi. Che sconfitto al referendum non vedeva l’ora di condividere con altri il peso dei sacrifici che bisognerà chiedere nei prossimi mesi agli italiani se l’economia non avrà una svolta. Un esempio per tutti: le traversie delle banche in crisi.
Senza Forza Italia, l’unica possibilità che resta sul tappeto è varare una specie di Renzi-bis senza Renzi ma con un premier che non gli faccia ombra. Ed ecco Gentiloni, ex rutelliano, renziano incapace di fare ombra al capo, mediatore indispensabile per realizzare il primo obiettivo posto dal Quirinale: una nuova legge elettorale.
Per tutta la giornata, accanto alle consultazioni ufficiali al Colle, se ne sono svolte di parallele a Palazzo Chigi. Renzi ha sondato la disponibilità di alcuni suoi ministri a restare nell’esecutivo. Lo scoglio più grosso sembra legato a Padoan. Il ministro dell’Economia era tentato di mollare tutto. Avrebbe potuto resistere soltanto se dal Quirinale fosse venuta la proposta di guidare il governo. Ma Mattarella ha preferito battere la strada di un esecutivo politico, “nella pienezza delle sue funzioni” come ha detto ieri ai giornalisti, e non un governo tecnico necessariamente a tempo. E Padoan deve restare all’Economia in questo momento di turbolenze finanziarie e bancarie, come uomo di garanzia per le istituzioni europee.
L’altra casella chiave del nuovo governo è quella lasciata libera da Gentiloni, cioè gli Esteri. Il nome darà la misura dei nuovi equilibri interni al Pd, dove l’asse Renzi-Franceschini che finora ha retto il partito è stato ricomposto a fatica. Lo schema prevede che il premier uscente si rigeneri occupandosi soltanto del partito mentre la componente del ministro della Cultura si concentra sul governo. Alla fine Franceschini ha preferito riannodare i fili con Renzi piuttosto che stringere con la vecchia guardia dei D’Alema e Bersani. Da rimpiazzare anche Maria Elena Boschi e probabilmente anche altre ministre: Madia, Giannini, Lorenzin. La prudenza di Mattarella tiene conto di questi equilibri da trovare. Vuole che il nuovo esecutivo nasca in tempi brevi, ottenga rapidamente la fiducia e già giovedì possa presentarsi nel pieno dei poteri in Europa.
Ultima incognita, riguarda la maggioranza. Scontato l’appoggio di Alfano, va chiarito il dubbio sulla presenza di Verdini e dei suoi: saranno ufficialmente imbarcati nel governo o continueranno con l’altalena di questi mesi? Se Verdini dovesse dare la fiducia e avere ministri, questo segnerebbe un passaggio ulteriore verso il “partito di Renzi” che molti vedono in formazione, contrapposto al tentativo di Pisapia e altri di riaggregare i frammenti della sinistra. Ma Verdini potrebbe essere anche il pontiere verso le piccole aperture berlusconiane. Insomma, il governo Gentiloni potrebbe anche non essere proprio un Renzi-bis.