“Abbiamo straperso”. L’autocritica di Matteo Renzi davanti all’assemblea nazionale del Partito democratico non potrebbe essere più netta. Ma adesso la questione non è più la necessità o la misura dei “mea culpa” dell’ex premier, già chiari con le dimissioni da Palazzo Chigi. Renzi è rimasto segretario del Pd e deve indicare la rotta che il partito intende seguire nei prossimi mesi.



Il segnale arrivato dall’assemblea di ieri è una frenata rispetto alla richiesta di elezioni anticipate in tempi brevi che Renzi aveva fatto intendere all’indomani del referendum. In questo modo il segretario del Pd viene incontro alla richiesta del Colle, che pur non illudendosi troppo non vorrebbe andare al voto prima della scadenza naturale. Renzi non ha accelerato sul congresso anticipato del partito. E soprattutto ha proposto di riformare la legge elettorale per Camera e Senato sull’ipotesi del Mattarellum. Un sistema che richiede tempo per trovare un accordo tra i partiti, e ulteriore tempo per la successiva fase applicativa, come per esempio ridisegnare i collegi elettorali.



Renzi quindi prende tempo. Ripropone un sistema già sdoganato dalla Corte costituzionale. E poi chi avrà il coraggio, nel partito, di ostacolare una legge elaborata a suo tempo da colui che oggi siede al Quirinale? Infatti nel Pd la gran parte delle componenti interne si è detta favorevole: d’accordo Speranza (bersaniano), Martina (Sinistra è cambiamento), Epifani (Sinistra riformista), Franceschini (Area Dem). Le perplessità arrivano da Orlando (Giovani turchi), contrario a un “maggioritario muscolare”. Ed è probabile che lo stesso approccio avranno le forze che si collocano a sinistra del Pd, in particolare quella che si sta coagulando attorno a Giuliano Pisapia.



Lanciare il Mattarellum rimette Renzi al centro della proposta politica nel momento in cui la bufera che si è abbattuta sulla giunta grillina di Roma potrebbe rimettere in discussione il risultato elettorale dei grillini. Passato il referendum, i giudici hanno rialzato la testa e colpito i maggiori partiti: Pd a Milano e M5s nella capitale. Chi ne dovrebbe risentire maggiormente sono proprio i Cinque stelle. E la ripresa di iniziativa di Renzi li colpisce su un fianco scoperto. Il Mattarellum, con il 75% di maggioritario che premia i candidati di coalizione, sembra fatto apposta per arginare le truppe di Grillo ora favorevoli (contrariamente a quanto sostenuto prima del referendum) a estendere l’Italicum anche al Senato.

Tuttavia il sistema elettorale che porta il nome del presidente della Repubblica ha altri due fronti contrari: quello del centrodestra lato Berlusconi e quello dei centristi che oggi appoggiano il governo. I motivi sono diversi. Il Mattarellum costringe alla coalizione e il Cavaliere non ha nessuna voglia di rimettersi assieme a Salvini e Meloni, di cedere candidature sicure, di contrattare con i due lepenisti italiani ogni posto in Parlamento.  

Berlusconi preferisce di gran lunga un proporzionale nel quale, come faceva la buonanima di Craxi, poter essere l’eventuale ago della bilancia per una maggioranza a trazione renziana. E ovviamente non è un caso che Salvini e Meloni siano invece entusiasti dell’ipotesi Mattarellum: il leader leghista ha detto a Renzi che qualsiasi sistema gli va bene pur di andare presto al voto.

Anche i “cespugli” centristi vedono il Mattarellum come una minaccia perché penalizza i partiti minori. Maurizio Lupi ieri ha sottolineato la loro richiesta di “equilibrare l’esigenza di governabilità con quella di rappresentanza”. Cioè posti adeguati al sostegno che daranno al futuro governo, e quindi un sistema proporzionale. Dunque, con il rilancio del Mattarellum Renzi si copre sul fianco sinistro ma si sguarnisce sul versante moderato. Non è detto che il cammino della nuova legge elettorale, anche se battezzata con un nome così importante, sia tutto in discesa.