La vittoria del Milan in Qatar è stata un viatico per Silvio Berlusconi, per il quale l’Avvento 2016 è sembrato piuttosto una Quaresima sotto i colpi dei francesi di Vivendi. La mente del Cavaliere è presa molto più dall’assalto a Mediaset che dalla politica. Dove in realtà le cose non vanno così male: il centrodestra ha incassato un indubbio successo al referendum e un secondo punto a favore con l’allontanarsi dell’ipotesi di un voto anticipato entro la primavera.
Quello che Berlusconi sperava di ottenere dal No del 4 dicembre lo sta incassando, ovvero la prospettiva di ritornare centrale nei giochi politici. È un obiettivo diverso da quello degli alleati Salvini e Meloni, che mirano a incamerare un bonus immediato come lepenisti d’Italia cavalcando il malcontento contro il governo e l’insofferenza verso gli immigrati. Il Cavaliere invece punta non a essere alternativo all’esecutivo ma a influenzarlo, a determinarne la vita, a condizionarlo nelle scelte-chiave. E magari a renderlo addirittura autonomo dal soccorso di Denis Verdini.
Il primo assaggio di questa strategia si è avuto con il voto di Forza Italia — sia alla Camera sia al Senato — che, a metà della scorsa settimana, ha sostenuto la mozione della maggioranza che ha autorizzato un intervento del governo a favore di Mps e delle altre banche in difficoltà. Berlusconi ha dato una motivazione “romantica”, ricordando che Montepaschi era stata la prima banca a concedere fiducia alle sue aziende. Di fatto questo è un segnale forte di discontinuità rispetto all’opposizione dura fatta negli ultimi mesi di campagna referendaria, e una chiara presa di distanza anche dal fronte salvin-meloniano.
Il “gesto di responsabilità” preannuncia altri possibili (o probabili?) stampelle per futuri provvedimenti che si configurino come “positivi per il Paese”. Il governo Gentiloni ha mostrato di gradire. Sia pure senza grandi entusiasmi, il ministro Calenda ha definito la scalata di Vivendi a Mediaset un’operazione “ostile e opaca” sulla quale l’esecutivo ha “un giudizio negativo”. Non sono comunque in vista provvedimenti ad hoc per tutelare le tv del Cavaliere dai francesi.
Ci si chiede se vale di più la mano tesa di Berlusconi al governo sul caso Mps o viceversa sul caso Mediaset. Il fatto è che in politica nessuno fa niente per niente. Gentiloni ha bisogno di dare — anche lui — un segnale di discontinuità rispetto a Renzi, all’epoca del Nazareno e alle sponde di Verdini, al punto che Ala potrebbe restare all’asciutto anche di sottosegretari. Berlusconi ha interesse a fare proseguire Gentiloni: oltre all’aiuto contro Bolloré, potrebbe ricavarne proprio quel dividendo politico di una nuova centralità e un ruolo di interlocutore di Palazzo Chigi.
Contemporaneamente questo reciproco gioco di sponda fa comodo a entrambi perché indebolisce le spinte di chi vorrebbe accorciare i tempi delle elezioni, come Renzi. Il segretario Pd preme per un voto a giugno, mentre Gentiloni punta ad arrivare alla scadenza naturale della legislatura ritagliandosi un’immagine diversa da colui che dovrebbe limitarsi a tenere in caldo la poltrona di Palazzo Chigi per Renzi. Ma non c’è soltanto il nuovo premier a respingere l’ipotesi di urne anticipate: con lui è schierato mezzo Partito democratico, da Orlando a Franceschini, ma soprattutto c’è il presidente Mattarella. Un Berlusconi “responsabile” e lontano dall’estremismo leghista fa comodo anche a quanti nel Pd — e sembrano sempre più numerosi — vorrebbero tenere separate le cariche di segretario del partito e di presidente del Consiglio. Sono molti gli interessi convergenti tra Pd e Forza Italia. Oggi il Pd non dice più forza Matteo, ma forza Silvio e forza Paolo (Gentiloni). Un bel paradosso.