La bomba è esplosa inaspettata: Beppe Grillo sul suo blog ha annunciato che sulla legge Cirinnà i parlamentari a 5 Stelle voteranno secondo coscienza, e non in base all’ordine di scuderia impartito da tempo, cioè schieramento compatto a fianco del testo senza modifiche. È una inversione a U, un capovolgimento totale di prospettiva, e pure uno schiaffo a Matteo Renzi che era convinto di avercela fatta. Finalmente avrebbe fatto “qualcosa di sinistra” per tacitare la recalcitrante minoranza interna che proprio ieri, primo giorno di primarie a Milano, è tornata ad agitare lo spettro della scissione. Con il voltafaccia di Grillo tutto viene rimesso in discussione.



Perché Grillo va contro il suo direttorio pochi giorni dopo aver messo in scena lo spettacolo teatrale in cui ribadiva di essersi ormai messo “di lato”? In primo luogo, il comico mostra ancora una volta la distanza dai nuovi vertici del movimento, che ormai agiscono più sul modello di un comitato centrale di stampo sovietico che della democrazia partecipativa sia pure fondata sulla rete e sui meetup.



Ma c’è un secondo aspetto di strategia politica, in qualche modo annunciato dal professor Paolo Becchi, che ben conosce il mondo a 5 Stelle, con un tweet mattutino in cui annunciava la svolta. “State a vedere che per paura di rimanere con il cerino in mano il M5s voterà il Cirinnà senza le adozioni, rimangiandosi quanto dichiarato”, ha cinguettato il politologo genovese. I twittaroli hanno riempito Becchi di improperi, ma alla fine chi ha avuto ragione è stato lui.

Che cos’e successo? Grillo ha intuito che Renzi difende la Cirinnà in apparenza, mentre dietro le quinte lavora per trovare un punto di mediazione con i centristi. L’altro giorno il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, aveva annunciato che se la legge fosse passata senza modifiche il suo partito sarebbe uscito dalla maggioranza.



Il premier ha preso — giustamente — sul serio la minaccia dei centristi ringalluzziti dal Family day. E ha lasciato intendere che i margini di una trattativa c’erano, anche sulle adozioni. Anche perché Renzi non era sicuro dell’appoggio dei grillini, notoriamente poco affidabili. A quel punto il cerino, per dirla con Becchi, passava proprio ai 5 Stelle.

Un qualsiasi cambiamento del testo avrebbe loro impedito di votarlo. E si sarebbe giunti al paradosso di una legge sulle unioni civili approvata dall’Udc ma non dai pentastellati. I quali, davanti all’opinione pubblica, sarebbero stati equiparati a Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, cioè il centrodestra che invece le unioni non le vuole. Un completo rovesciamento delle parti che Grillo ha intuito e dal quale tenta di togliere i suoi parlamentari, ammesso che possa avere ancora voce in capitolo contro il direttorio di Casaleggio, Di Maio, Di Battista e pochi altri.

Il colpo di scena attuato da Beppe Grillo ha ributtato la palla dal campo grillino a quello renziano. E proprio in giornate in cui si decideranno molte cose in casa Pd, perché le primarie milanesi — cui seguiranno quelle di Roma e Napoli — diranno se davvero Renzi ha in mano il partito oppure se l’apparato è rimasto fedele alla “ditta” di Bersani, Veltroni, D’Alema, Cuperlo e compagnia, cioè i rottamati che invece non appaiono per nulla intenzionati a mollare il campo. La ditta rimprovera al premier-segretario di privilegiare i rapporti con i centristi, snaturando il dna del Pd. Renzi aveva risposto tentando di agganciare i 5 Stelle. Ma ora che Grillo li ha sfilati dall’abbraccio, è il rottamatore a ritrovarsi di nuovo sotto il fuoco incrociato di minoranza interna e centristi di Alfano e Verdini. Che dovrebbero essere suoi alleati. Ma che bella compagnia.