C’è qualcosa che non torna nelle “gazebarie” promosse da Matteo Salvini a Roma per silurare la candidatura di Guido Bertolaso a sindaco della capitale. Anzi, più di qualcosa. Varie cose. I gazebo sono stati allestiti dopo che la Lega aveva già dato via libera all’ex capo della Protezione civile. Il voto del fine settimana è stato espresso senza nessun filtro: chiunque poteva partecipare. Lo spoglio dei circa 15mila voti è durato, in proporzione, più di quanto sarebbe successo in Mozambico o Venezuela. E tutto questo per scoprire che “il centrodestra vince solo se unito”. Capirai che scoperta: è dal 1994 che funziona così.

Perché allora mettere in piedi questa sceneggiata? La scelta dell’uomo giusto da lanciare verso il Campidoglio nasconde in realtà la battaglia in corso da mesi sulla leadership nel centrodestra. Dopo aver tollerato il veto di Giorgia Meloni su Alfio Marchini, Salvini ha digerito male il colpo di mano berlusconiano su Bertolaso. Un “tecnico” anche a Roma, oltre a Stefano Parisi a Milano, è sembrato troppo al segretario leghista. Che voleva dettare legge nella capitale pur avendo pochissima presa: nelle “gazebarie” la candidata della lista “Noi con Salvini”, Souad Sbai, si è piazzata ultima.

Le urne ruspanti di Salvini erano una sfida a Berlusconi. Ma il “capitano” non ha fatto bene i suoi conti. Due elementi gli hanno scombinato i piani. Il primo è la massiccia affluenza dei fedelissimi di Alfio Marchini, l’imprenditore che — se dovesse raccogliere i voti anche di azzurri e padani — non risponderà né a Salvini né a Berlusconi. Il secondo è un sondaggio che ripete una semplice verità: se non litiga, se si mette d’accordo, il centrodestra non è tagliato fuori dalla possibilità di vincere il ballottaggio a Roma.

Ieri mattina Silvio Berlusconi ha avuto buon gioco a farlo presente al leghista in un colloquio telefonico. E gli ha ricordato che, se il Carroccio tira troppo la corda a Roma, rischiano di saltare molte altre candidature da concordare in città del Centro-Nord dove si vota in primavera e che stanno parecchio a cuore a Salvini. Ed ecco che il falco si è improvvisamente trasformato in una colomba.

Alle 13 era convocata la conferenza stampa in cui annunciare l’esito della consultazione. Doveva essere il momento in cui battere i pugni sul tavolo e imporre agli alleati le condizioni della Lega Nord. Ma lo spoglio incredibilmente stava andando per le lunghe ed è sembrato più opportuno non proclamare né vincitori né vinti, anzi mostrarsi condiscendente, annunciare un “sostanziale pareggio” tra Bertolaso, Pivetti, Storace e Marchini (anche se in serata lo scrutinio completo darà quest’ultimo in netto vantaggio). Per l’ex uomo delle emergenze piovono addirittura complimenti: “Non pensavo prendesse tutti questi voti, evidentemente anche questa candidatura ha una sua dignità”. 

Da Salvini è venuta un’apertura anche verso la Meloni, stizzita dal week-end ai gazebo, che perentoriamente ha detto: “Voglio solo sapere se Bertolaso è il candidato unitario del centrodestra, mi basta un sì o un no e il mio partito si regolerà di conseguenza”. Il segretario leghista le ha risposto di non volere decidere da solo. Ma la leader di Fratelli d’Italia non vuole perdere altro tempo e, come Berlusconi, respinge l’ipotesi di “primarie vere” (e non fatte in casa come quelle di domenica) rilanciate da Salvini.

Il cui vero obiettivo è tenere aperta la partita, e chiudere soltanto quando l’intero quadro delle candidature di primavera sarà completato. La rottura, dunque, non c’è stata. Ma il braccio di ferro nel centrodestra continuerà per qualche altra settimana. E poi ci vorrà un miracolo per convincere gli elettori che nella coalizione tutto fila liscio.