Sono sei le città italiane in cui oggi i militanti della sinistra potranno esprimersi alle Primarie Pd: Roma, Napoli, Trieste, Bolzano, Grosseto, Benevento. E sono sei i nomi tra cui si potrà indicare quello da candidare a sindaco della capitale. Ma in realtà è uno il protagonista dei gazebo odierni. Si chiama Denis Verdini. L’ex braccio destro di Silvio Berlusconi si sta rivelando l’uomo chiave per la maggioranza in questo periodo, il salvatore del governo in un numero crescente di occasioni parlamentari: l’ultima è stata l’approvazione della legge Cirinnà al Senato.
Verdini ha detto che farà in modo che i suoi fedelissimi partecipino alle Primarie Pd a Roma — pur non essendo (ancora?) un uomo di sinistra né un componente della coalizione di governo — per sostenere il renziano più in bilico, ovvero Roberto Giachetti. E ha già annunciato il sostegno a Giuseppe Sala a Milano, che lo scoglio delle Primarie Pd lo ha già superato anche se non proprio brillantemente.
Renzi si è ben guardato dal prenderne le distanze. Giachetti è favorito nelle Primarie pd a Roma ma il suo competitor più forte, Roberto Morassut, che rappresenta la vecchia guardia del partito, la Ditta, l’ossatura dell’apparato che resiste alla rottamazione, è in piena corsa. Il premier-segretario non può fare lo schizzinoso, anche perché nell’altra grande sfida di queste Primarie Pd, quella di Napoli, va in scena lo scontro con Antonio Bassolino. E la candidata renziana, Valeria Valente, rischia molto più di Giachetti a Roma.
Oggi per Renzi è un giorno chiave. Al di là delle polemiche sulle Primarie Pd e la retorica sulla sinistra che fa scegliere i propri candidati dal popolo dei militanti (a differenza della destra che come “location” preferisce la villa di Arcore ai gazebo), per il rottamatore sarebbe un gravissimo smacco se Giachetti non dovesse farcela. Meglio non sottilizzare sugli eventuali voti di Verdini, anche se i renziani lasciano intendere che non vi fanno grande affidamento in quanto l’ex banchiere fiorentino non conterebbe ancora su truppe di militanti così numerose da essere determinanti nell’orientare il voto delle primarie. L’unico appello rivolto ieri da Renzi riguarda l’affluenza. Tanta gente alle primarie rappresenterebbe un ricostituente per un Pd in difficoltà. La capacità di mobilitazione avrebbe come conseguenza quella di depotenziare l’apporto degli ex berlusconiani. Che invece viene enfatizzato dalla minoranza del Pd: in una campagna elettorale fiacca, il ruolo di Verdini è stato uno degli argomenti principali usato contro il segretario, a costo di “dimenticarsi” che il Pd bersaniano insieme con “l’uomo nero” (ancora berlusconiano) ha governato al tempo di Monti e Letta.
È una partita a scacchi in cui le schermaglie iniziali si prolungano. Renzi pensa di essere più furbo di Verdini, e viceversa. L’uno non può fare a meno dell’altro: a uno servono i voti, all’altro uno spazio politico in cui essere ancora protagonista.
La domanda ancora senza risposta è a quale gioco sta giocando Verdini. Finora, eccettuate alcune poltrone nelle commissioni parlamentari, l’aiutino dei suoi gruppi parlamentari non è stato ricompensato come merita in termini di poltrone e potere. Sembra che Verdini si sia improvvisamente trasformato in un filantropo della politica e che i suoi voti, anziché in affitto, vengano elargiti per affetto.
Ma i professionisti della dietrologia sollevano crescenti dubbi sul suo ruolo. Berlusconi non tratta Verdini male come Alfano. La candidatura di Bertolaso a Roma sembra fatta apposta per non infastidire il Pd, una «congiura a perdere» per parafrasare i 5 Stelle. Nei momenti cruciali l’opposizione di Forza Italia non è mai dura come quella della Lega. Insomma, Verdini sarebbe un infiltrato per puntellare Renzi e garantire che il governo non tocchi Mediaset. L’esito delle primarie odierne servirà anche come primo tagliando per la tenuta del mini-Nazareno.