Oggi si vota per uno dei più paradossali referendum della storia repubblicana. Lo si è battezzato “anti trivelle” tuttavia fermerebbe non le perforazioni ma l’estrazione di idrocarburi. Qualunque sia il risultato, per ora non cambierà nulla perché — se prevalesse il sì — i primi effetti si avrebbero alla scadenza delle concessioni di sfruttamento. E soprattutto, il vero oggetto del voto è diventato Matteo Renzi. Le questioni ambientali o di politica industriale ed energetica sono passate in seconda fila davanti alla ghiotta possibilità di dare una spallata al premier. La vittoria del sì non bloccherà subito le piattaforme offshore ma sicuramente ostacolerà il governo.

Negli ultimi giorni Renzi ha corretto il tiro. Alle sprezzanti parole iniziali che invitavano all’astensione accompagnate da giudizi ironici sul contenuto dei quesiti, è subentrata una maggiore prudenza. Il referendum “non è politico”, non tocca Palazzo Chigi: ora prevale la linea di svuotarne il pericolo potenziale, di evitare un coinvolgimento del governo. Timori per il raggiungimento del quorum? I sondaggi dicono che esso resta un obiettivo arduo. Uno dei referendari più sfegatati, il governatore pugliese Michele Emiliano, ha detto ieri che 10 milioni di sì sarebbero un ottimo risultato. Tenendo conto che il quorum è di poco inferiore a 24 milioni di votanti, si ha un’idea delle speranze dei promotori.

Ma il presidente del Consiglio ha comunque imboccato la strada di un più basso profilo. Meglio concentrare gli sforzi sulle amministrative e soprattutto verso il referendum sulla riforma Boschi. Quello è il vero banco di prova del governo, non le trivelle dell’Adriatico. Renzi ha anche incassato l’appoggio di Giorgio Napolitano, che è tornato a esporsi in prima persona contro il voto di oggi ma soprattutto a favore del voto di ottobre, per il quale non esiste quorum. Sono riforme fortemente volute da Napolitano. Per Renzi è un importante punto a favore.

Così come gli fa gioco l’allargamento dell’inchiesta di Potenza: è vero che il ministro Guidi ha dovuto dimettersi, però il suo ruolo appare marginale, più sfruttata che sfruttatrice. Non è indagata mentre lo è uno dei vicepresidenti di Confindustria, Ivan Lo Bello, primo sponsor del compagno della Guidi. La quale appare più sprovveduta che complice: sempre inadatta al ruolo, ma per lo meno reati non ne avrebbe compiuti. Almeno così sembra.

Strada in discesa per Renzi? Tutt’altro. Se Emiliano punta a 10 milioni di sì, è perché lui e gli altri oppositori interni al Pd lo considera la base su cui costruire la campagna contro il referendum di ottobre. Anche per le opposizioni a Renzi quello sarà l’appuntamento cruciale. Il sì di oggi diventerà il no di ottobre: 5 Stelle, minoranza Pd, Lega, frange del centrodestra si stanno coagulando per bloccare le riforme del bicameralismo. Oggi si compie il primo passo.  

Il prossimo tagliando sarà al ballottaggio per i sindaci: lì si vedrà come si comporteranno i grillini orfani di Casaleggio e le varie anime del centrodestra. Il secondo turno delle amministrative potrebbe essere una tappa importante per il consolidarsi del blocco anti-renziano. Una sorta di Partito della nazione capovolto.

Insomma, le trivelle sono diventate un pretesto per cominciare a organizzarsi in vista di ottobre, appuntamento al quale Renzi ha legato la propria permanenza in politica. Con buona pace degli ambientalisti, i sì e i no espressi oggi saranno interpretati come suffragi a favore o contrari al governo. Il quale ha capito che al momento è meglio tenersene fuori. Più prudente non aprire nuovi fronti e conservare le forze per la campagna d’autunno.