La notizia del giorno, dal fronte centrodestra, non è tanto che non si sappia ancora quanti candidati ci saranno alle elezioni di Roma. Ma che i colonnelli di Forza Italia si sono presentati spaccati davanti al loro leader. Una spaccatura come raramente si era vista; divisione verticale e non componibile, al punto che l’ufficio di presidenza — incapace di giungere a una sintesi — ancora una volta ha messo la questione nelle mani del vecchio Silvio. E Silvio non sa che pesci prendere, perché il partito è all’ennesimo bivio della sua tormentata storia.
Entrambi i fronti interni hanno delle ragioni. Ci sono i favorevoli a un accordo con Salvini e Meloni: Toti, Romani, Matteoli. Il governatore ligure, il luogotenente lombardo, il proconsole toscano; nessun romano. Il loro ragionamento è semplice: uniti si può vincere a Roma come a Milano, da soli si va a sbattere. I sondaggi dicono che Giorgia Meloni andrà al ballottaggio con Virginia Raggi, perciò meglio fare fronte comune fin dal primo turno per evitare il rischio di una rimonta di Roberto Giachetti. La controparte è l’ala romana: Tajani, Polverini, Fiori, Calabria. Loro sono compatti su Guido Bertolaso, o al massimo disposti a una convergenza con Alfio Marchini e Francesco Storace, perché votare la Meloni equivale a cedere alla deriva lepenista di Lega e Fratelli d’Italia. E soprattutto certificare che Berlusconi ha sbagliato cavallo e la sua leadership sta per franare.
Il bivio romano è il bivio di tutto il partito. Le decisioni di Roma anticiperanno il futuro di Forza Italia. Mantenere compatta la vecchia coalizione con la Lega, molto più traballante ora con Salvini rispetto ai bei tempi di Bossi, oppure presidiare l’area moderata e centrista anche se le possibilità di vittoria sono più modeste? Serrare le file in chiave dichiaratamente anti-renziana o difendere all’estremo il ruolo del Cavaliere?
Non è che Salvini e Meloni stiano facilitando la scelta di Forza Italia. L’altro giorno i due erano stati chiamati a un vertice comune ma non si sono presentati per precedenti impegni. Ieri hanno lanciato la campagna elettorale contando nell’arrivo del Cav che invece non si è visto e nemmeno ha telefonato. Il segretario della Lega mostra di attendere con le braccia aperte per replicare a Roma lo schieramento di Milano, ma poi insiste nella sua interpretazione velenosa dell’irresolutezza berlusconiana: sostenere la corsa solitaria di Bertolaso è un favore a Renzi, si tratta di intelligenza con il nemico. Per questo la strana coppia insiste nel braccio di ferro. Vogliono vedere Berlusconi capitolare senza condizioni.
Da parte sua, l’ex capo della protezione civile che oggi non sfiora nemmeno il 10 per cento continua a fare sfoggio di superiorità: “Ma vi pare che uno come me che ha avuto tre medaglie d’oro al valore civile, quattro lauree honoris causa, 57 cittadinanze onorarie in tutta Italia, che si è trovato di fronte i Khmer rossi, che ha affrontato situazioni drammatiche come i bambini che muoiono in Africa o come i terremoti, si può preoccupare dei problemi della politica?”. Già, vi pare? Berlusconi è stretto non fra due fuochi, ma fra tre, mentre la prospettiva di mantenere l’asse con la Lega a Roma si allontana.