L’appuntamento di ieri in cui Matteo Renzi ha ufficialmente aperto la campagna elettorale verso il referendum di ottobre era fissato già da prima che la Commissione europea sdoganasse, pochi giorni fa, le ultime spericolate manovre di bilancio italiane. Tuttavia è ipotizzabile che l’entourage del premier avesse fatto un calcolo e inserito il discorso di Bergamo a ridosso delle presunte aperture di Bruxelles. Perché, nonostante gli osanna della grancassa mediatica nazionale, dall’Ue non è arrivato nessun lasciapassare speciale.
La Commissione ha confermato l’apertura alla flessibilità di bilancio chiesta dall’esecutivo Renzi. Ma non l’ha fatto gratis, non si tratta di una concessione priva di un futuro bilanciamento: l’Italia infatti dovrà prendere impegni gravosi per il 2017. In cambio di un’elasticità dello 0,85 per cento (14 miliardi da spendere come un “bonus” extra) subito, bisognerà produrre un aggiustamento dei conti pubblici dello 0,6 per cento entro l’anno. Tra sei mesi (novembre 2016), con la presentazione della legge di bilancio, l’Ue farà una nuova verifica.
L’Ue fissa non solo i saldi contabili ma anche le materie su cui il governo sarà misurato: privatizzazioni, carico fiscale spostato dai fattori produttivi ai consumi e alle proprietà (cioè inasprimento dell’Iva e ripristino della tassa sulla prima casa se non addirittura introduzione di una patrimoniale), taglio delle detrazioni, riforma del catasto, misure drastiche contro l’evasione fiscale. Profondo rinnovamento in materia tributaria, dunque, particolarmente pesante verso i patrimoni.
Non c’è nulla da gioire, perciò, per la manica larga usata con Renzi e Padoan, che sarà ripagata a caro prezzo. Tanto più che questa elasticità era dovuta: la Commissione Ue, infatti, ha chiuso gli occhi davanti a situazioni ben più gravi di altri partner europei. Procedure di infrazione per debito eccessivo dovevano essere aperte verso Belgio e Finlandia ma non se n’è fatto nulla, mentre Spagna e Portogallo — che presentano un rapporto deficit/Pil superiore al 3 per cento contro quello italiano che al momento non raggiunge il 2 — sono rimandate a luglio.
Che cos’è invece successo in Italia? Il coro della stampa compiacente ha trasformato il capestro di Bruxelles in una vittoria renziana. E il premier, sapendo bene che quello economico è un terreno minato per il suo governo (senza contare che la campagna per le imminenti amministrative è scivolosissima per il Pd), ha pensato bene di calcare la mano sulle riforme costituzionali e alzare polveroni in difesa dei cambiamenti che saranno vagliati con il referendum d’autunno.
Ed ecco l’apertura della campagna referendaria con mesi e mesi di anticipo, condita da minacce pesantissime. Se la riforma costituzionale sarà bocciata il Paese “andrà all’ingovernabilità” e diventerà “il paradiso terrestre degli inciuci”: così ha detto il capo di un governo a guida Pd che non può sopravvivere senza l’appoggio di Alfano, Verdini ed ex leghisti di Tosi. Ora — ha continuato — chi governa viene scelto da un accordo in Parlamento: Renzi stesso è a Palazzo Chigi in virtù di questo meccanismo che sempre il premier a Bergamo ha definito “inciucista”.
Renzi ha scomodato perfino Enrico Berlinguer, il quale — a detta dell’ultimo leader del fu Pci — era favorevole al monocameralismo. Ed è arrivato a ipotizzare un abbraccio (“magari diventeranno amici”) tra Berlusconi e Magistratura democratica in nome del “no” al referendum. Ecco, tra tutte le tragedie immaginate dal premier per indurre gli elettori a barrare la casella del “sì” in autunno, questa è davvero la sparata più inverosimile. E dà il segno del nervosismo che lo agita.