Grandi manovre nel piccolo centro alla vigilia del voto amministrativo. Manovre inversamente proporzionali all’effettivo peso politico dei protagonisti. Tutti guardano al risultato del Pd di Matteo Renzi: se Giachetti a Roma e la Valente a Napoli agguanteranno il ballottaggio, se Fassino a Torino e Merola a Bologna ce la faranno al primo turno, se Sala a Milano riuscirà a dare un distacco significativo a Parisi. Si guarda anche a destra, al guanto di sfida lanciato a Roma da Salvini e Meloni verso Berlusconi e agli effetti della ritrovata unità (per ora soltanto elettorale) a Milano tra Forza Italia, Lega e Nuovo centrodestra. E poi c’è l’incognita grillina, legata soprattutto a quanto mieterà oggi Virginia Raggi nella capitale. Ieri la candidata romana dei Cinque Stelle è stata invitata e accolta come una star a Trento al Festival dell’economia, dove erano presenti vari sindaci “veri” e perfino il ministro dell’Economia. Con 13 milioni di italiani chiamati a votare e 1.342 comuni — tra cui 7 capoluoghi di regione e 18 di provincia — in cui scegliere i nuovi sindaci, ogni partito potrà trovare qualche motivo di soddisfazione.

Ma non bisogna trascurare i movimenti al centro. Spostamenti che riguardano realtà piccole, particelle nell’orbita degli atomi centristi che ambirebbero a diventare almeno molecole. Il protone Verdini che si incunea sempre più in profondità nella maggioranza di governo, senza dissolvere i dubbi se egli non sia rimasto in realtà il cavallo di Troia degli interessi berlusconiani. Il neutrone Alfano che annuncia per ottobre la nascita di un nuovo soggetto politico benché l’Udc di Cesa gli abbia già voltato le spalle. L’elettrone Zanetti che a luglio schiererà nuovi gruppi parlamentari liberal-democratici benedetti nientemeno che da Guy Verhofstadt imbarcando tosiani, ex grillini, ex piddini e verdiniani vari con “adesioni a titolo personale”.

Come mai vanno monitorate anche queste fusioni degli atomi centristi? Perché probabilmente esse hanno in pugno il futuro di Renzi. Il premier-segretario non se la passa bene. I risultati del governo scarseggiano. Le amministrative non saranno un successo. L’esito del referendum di ottobre è a rischio, come dimostrano le reazioni all’imbarazzato equilibrismo di Roberto Benigni in tv, prima contrario alla riforma e ora timidamente favorevole. Come si sa, proprio sul referendum Renzi ha puntato tutto.

Un modo per affrontare più tranquillamente l’appuntamento autunnale c’è: garantirsi il pieno appoggio delle varie frange centriste, che oggi non sono coese. Esse sono pronte ad adeguarsi alle richieste del premier-segretario democratico, ma a un patto: cambiare la legge elettorale. Zanetti l’ha fatto intendere con chiarezza. L’Italicum deve premiare la coalizione e non il singolo partito, come prevede ora la nuova normativa. Il premio alla coalizione garantirebbe agli atomi centristi di restare in Parlamento; il premio al partito vincitore del ballottaggio (poco importa se esso sarà il Pd, il M5s, Forza Italia o la Lega) li farebbe sparire. 

Ecco dunque la ragione del loro agitarsi a ridosso dell’appuntamento elettorale: conquistare qualche posto al sole consentirebbe loro un maggiore potere contrattuale con il capo del governo, e la riorganizzazione delle forze in Parlamento li rafforzerebbe ulteriormente. Verdini, Alfano e Zanetti si strappano voti al centro l’un l’altro ma senza avere obiettivi divergenti. Essi non vogliono creare problemi a Renzi né mettere a rischio la maggioranza, ma in cambio chiedono la modifica dell’Italicum. Solo così potranno continuare a esistere senza essere fagocitati dal grande fratello renziano.