Ma che bello, che gioia, che successo per il centrodestra di nuovo riunito. C’erano proprio tutti gli ingredienti della riunificazione ieri ad Arezzo, la città di Maria Elena Boschi, la città dei poveri cristi depredati dal crac di Banca Etruria, una delle (poche) città che il centrodestra ha strappato recentemente al centrosinistra. C’era l’occasione adatta, ovvero il lancio dei comitati del “No grazie” al referendum sulla riforma costituzionale, punto centrale della riaggregazione per riannodare i rapporti tra Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega salviniana. Il No alle riforme Renzi-Boschi, secondo promotori e partecipanti, è la “prima pietra del nuovo centrodestra”.
E poi c’erano tutti i big in campo. Giorgia Meloni, promotrice dell’assemblea aretina. Giovanni Toti (Forza Italia) e Roberto Maroni (Lega Nord), rappresentanti del fronte che aveva sostenuto la candidatura comune della Meloni a Roma proprio in nome della riunificazione del centrodestra, e c’era pure Mario Mauro. C’era Salvini con un video messaggio. C’erano Paolo Romani e Renato Brunetta, capigruppo azzurri a Senato e Camera, con una lunga nota che esprimeva “grande calore ed entusiasmo” per l’appuntamento espressivo della “ritrovata unità del fronte alternativo al renzismo”.
Ma a ben guardare ad Arezzo non c’erano proprio tutti-tutti. Berlusconi, per esempio: non un video, una telefonatina in diretta, un messaggio scritto, nulla di nulla. E soprattutto mancava Stefano Parisi, che il Cavaliere sta faticosamente tentando di investire come “amministratore delegato” della nuova Forza Italia. Parisi ha preferito esibirsi su un altro palcoscenico, quello della Summer school organizzata da Maurizio Lupi a Giardini Naxos, in Sicilia, ben lontano dalla Toscana di Renzi, Boschi e Meloni. L’avversario di Giuseppe Sala a Milano ha ribadito che è pronto a dare il suo contributo, che non vuole più parlare di centrodestra ma di area liberal-popolare, e che la sua strategia non è caricare a testa bassa contro Renzi ma recuperare i delusi, i moderati, i convertiti alle 5 Stelle, senza alzare nuovi steccati né muri nemmeno sul tema dell’immigrazione: “La sinistra è debolissima, ma la destra non può essere soltanto ruspe”. A sigillare le sue scelte è giunta venerdì una telefonata con il Cavaliere.
All’indomani della mezza investitura di Parisi decisa ad Arcore da un Berlusconi che sta facendo pressing sui colonnelli, la giornata di ieri non poteva restituire una fotografia più netta della spaccatura esistente in Forza Italia. Da una parte Berlusconi, i suoi consiglieri storici e il nuovo delfino Parisi, dall’altra tutti gli altri che a Parisi rinfacciano — neppure troppo velatamente — di aver perso a Milano pur avendo l’onore delle armi. Argomento debole, visto che l’eroina della riaggregazione di Arezzo, Giorgia Meloni, al ballottaggio romano non ci è neppure arrivata.
Ormai però è così: si dice che Berlusconi conservi leadership e voti, ma le sue ultime mosse sono state soprattutto divisive. La scelta di Toti, inviso ai “vecchi”. Il Nazareno, fieramente ostacolato da un folto gruppo di parlamentari che voleva contrapporsi a Renzi senza se e senza ma. Marchini a Roma, un fallimento. E ora la svolta verso Parisi che le seconde linee azzurre combattono aspramente dietro le quinte. L’ex city manager di Milano ha dichiarato che voterà No al referendum, ma il muro contro muro non è in testa alla sua agenda. Tant’è vero che la prima mano tesa non è stata rivolta a Salvini o Meloni, ma a Lupi, cioè Alfano.