C’è una domanda che gira in questi giorni in Forza Italia, e non ha ancora trovato una risposta sintetica. Riguarda il ruolo che Silvio Berlusconi ha assegnato a Stefano Parisi e che il candidato forzista sconfitto a Milano si accinge ad assumere. Commissario? Coordinatore? Rottamatore? Amministratore delegato? Definizioni respinte esplicitamente dallo stesso Parisi, ma che non hanno ancora trovato un’espressione sostitutiva efficace. Se lo si dovesse valutare dagli effetti immediati provocati dalla chiamata in campo, basterebbe apostrofarlo come un sisma. Terremoto Parisi.
Una scossa tellurica demolisce, fa vittime, e i sopravvissuti ricostruiscono. Più o meno è quello che sta per succedere in Forza Italia. Il Cavaliere e mister Chili scuoteranno il partito alle fondamenta. La scelta è caduta su Parisi per ragioni evidenti: soltanto un esterno al movimento azzurro, un estraneo alle conventicole dei colonnelli e ai giochi di potere in atto a Roma come nelle periferie, può sperare di essere protagonista del rilancio. Parisi deve sciogliere tre nodi: svolgere una “due diligence”, un’analisi approfondita per portare alla luce tutte le magagne azzurre; elaborare un programma moderato e liberale (l’input anti Salvini gli è arrivato da Arcore, non è un suo vezzo); coinvolgere gente nuova e credibile.
Il tutto sarà vagliato, oltre che dal leader, dall’ufficio di presidenza di Forza Italia, segno che Berlusconi non intende radere al suolo l’attuale dirigenza ma coinvolgerla nella svolta. I colonnelli azzurri sono in difficoltà. Ma ancora più in crisi appare Matteo Salvini, che per la prima volta da quando ha preso il posto di Roberto Maroni come segretario del Carroccio si vede messo sul banco degli accusati. La svolta lepenista paga in termini di ascolti radio-Tv e di interviste sui giornali, ma non nelle urne. Sconfitto a Milano (ha preso metà dei voti di Forza Italia mentre sognava il sorpasso), sconfitto a Roma (niente ballottaggio per la Meloni), battuto nella roccaforte di Varese, il leader leghista raccoglie crescenti malumori interni. Maroni ha ritrovato la voce per criticare le scelte di Salvini.
Dal governatore lombardo arrivano un no al Front National in salsa padana, e due sì: a Parisi e alla coalizione di centrodestra alle elezioni nel 2018 e a maggior ragione se si arrivasse al voto anticipato nel 2017. Una linea diametralmente opposta a quella di Salvini. Il tentativo di Parisi sarà dunque duplice: interno a Forza Italia ma teso anche a far emergere nella Lega quella componente che non ne può più di certe derive salviniane tipo le bamboline gonfiabili per Laura Boldrini.
Nel Carroccio hanno sempre convissuto anime diverse: quella autonomista, quella “law and order”, quella di governo, quella popolaresca delle mascherate di Pontida. La Lega governa Lombardia e Veneto oltre a varie città del Nord: chi tiene quelle leve di comando non può ridursi a essere identificato con certe sparate di Salvini. La Lega, come Forza Italia, ha pure subito scissioni e abbandoni clamorosi. Parisi non punta a nuove spaccature ma a fare riemergere quel pragmatismo che portò Bossi, Calderoli e Maroni a scendere a compromessi con Berlusconi in cambio del federalismo e del giro di vite sull’immigrazione clandestina.
Un pragmatismo che Salvini ha cancellato in nome di un presunto recupero identitario che però è stato bocciato dai numeri elettorali. Un rifondatore: questo sembra dunque il profilo di Parisi. Rifondare partito e coalizione, sperando che poi l’Italicum venga corretto a favore proprio delle coalizioni. La settimana prossima vedrà i coordinatori regionali di Forza Italia. L’inizio del repulisti.