I colonnelli di Forza Italia avevano storto il naso quando Silvio Berlusconi aveva annunciato che il prescelto per rifondare il partito era Stefano Parisi. L’ultimo arrivato, il perdente di lusso, l’imprenditore privo di esperienza politica, l’uomo dei bilanci ma non della strategia. Vecchi e nuovi sotto-leader azzurri, aspiranti alla successione del Cavaliere che sta per varcare la soglia degli 80 anni e si riprende più lentamente del previsto dall’operazione al cuore, avevano fatto a gara per sminuire il ruolo di Parisi. Giovanni Toti era apparso il più sorpreso (“non capisco bene quale sia il suo ruolo”), Renato Brunetta il più attendista (“leggeremo con attenzione le sue proposte e le discuteremo”).
Eccoli accontentati. Lo sconfitto al ballottaggio di Milano ha preso carta e penna e ha scritto una lunga lettera a Repubblica, il quotidiano più renziano del momento e tra i meno teneri con la dinastia del Biscione, quello che ha scavato il solco tra Silvio e Veronica e – nonostante l’abbandono di Ezio Mauro – continua a non fare sconti al Cavaliere su olgettine, conflitti di interesse vari, eccetera. È il modo che Parisi ha scelto per dire di non avere paura di nessuno perché ha le spalle coperte, copertissime.
La sua è una lettera-manifesto, il programma del futuro partito. I punti principali si conoscevano già: “no” al referendum sulle riforme e un’assemblea costituente per riscrivere assieme le regole. Ma Parisi non si limita a smontare punto su punto l’assetto istituzionale definito da Renzi e dalla Boschi. Si spinge oltre: boccia esplicitamente le larghe intese “causa del nostro gigantesco debito pubblico”, ribadisce che “centrodestra e centrosinistra sono alternativi” e in competizione, propone una road map in tre tappe (legge che abolisce il Senato e istituisce la Costituente, modifica dell’Italicum, voto nel 2017). Infine, particolare da non trascurare, elogia Sergio Mattarella.
Rispetto all’andazzo che va per la maggiore nel centrodestra, l’ex direttore di Confindustria non si limita a spernacchiare il premier e la ministra, ma tenta di dare una prospettiva a un elettorato più vasto che va ricomposto. Con le invettive di Brunetta la differenza è abissale: per esempio, Parisi non accenna alla necessità di far cadere il governo in carica. Non è un caso che il capogruppo azzurro alla Camera sia critico con l’idea della Costituente e non perda occasione per ricordare che vorrebbe Parisi più presente nella campagna referendaria.
Ma Parisi prende una strada diversa anche dalla strategia di Salvini: per il leader leghista prima si vota “no” e poi si discute del resto, mentre per il delfino di Berlusconi il pacchetto referendum-Costituente è inscindibile e va discusso e deciso subito. Quella di Parisi non è comunque una porta in faccia a Salvini, che sotto la pressione della minoranza “governativa” interna (quella dei governatori Maroni e, più sfumato, Zaia) sta aprendo al riorganizzatore di Forza Italia. Il segretario leghista teme l’isolamento e la prospettiva di un’eterna opposizione.
Insomma, né Brunetta, né Salvini: Parisi tenta una “terza via” come un Tony Blair di centrodestra. Grande ambizione. Tra un mese, alla convention della “nuova” Forza Italia, si capirà se avrà la forza di imporsi o si accontenterà di galleggiare come fanno tante seconde file azzurre oggi.