Una volta la Lega era una: bossiana, secessionista e padana. Poi diventò bina: nel profondo covava ancora il sogno indipendentista ma aveva la faccia presentabile e moderata dei governatori Zaia, Maroni e Cota (poi decaduto e quindi sparito). Da tempo invece è trina: si è aggiunta l’anima lepenista di Matteo Salvini. Non nordista ma nazionalista, non istituzionale come vorrebbero i due governatori di Lombardia e Veneto ma antisistema. Salvini ha tentato di imporre la sua linea ma gli è andata male: Roma (flop della Meloni) e soprattutto Milano (raccolti metà voti di Forza Italia che doveva invece essere doppiata) hanno abbassato la cresta al segretario eurodeputato.
Salvini ha dunque deciso di raddrizzare la rotta e reimbarcare le altre due leghe. Ed eccoci a Pontida, terra di memorie bossiane, elmi celtici e rivendicazioni alla Bravehart. Con l’aggiunta di un vertice Maroni-Zaia-Toti a sottolineare che in questo nuovo corso nessuno deve sentirsi escluso (ma Bossi nel suo intervento è stato comunque durissimo con Salvini). Senza dimenticare l’emblematicità della data: vent’anni fa il Senatur proclamò l’indipendenza della Padania e da allora in questo fine settimana organizzava la tre giorni dalle sorgenti del Po alla laguna. E proprio tre giorni è durata l’adunata sul pratone di Pontida. Salvini non è arrivato a dissotterrare dall’oblio la sacra ampolla, ma la sua è comunque una svolta.
Le parole d’ordine sono più o meno le solite. Contro Berlusconi: “Se qualcuno pensa che il futuro della Lega sia ancora quello di un partitino servo di qualcun altro, di Berlusconi o di Forza Italia, ha sbagliato a capire. Noi non saremo più schiavi di nessuno. Noi accordi al ribasso non ne faremo con nessuno”. Contro Papa Francesco: “Ratzinger aveva le idee chiare sull’islam, chi fa entrare l’imam in chiesa non mi piace”. Contro i centristi: “Se ti chiami Scajola, se stai con Alfano, Fini e Verdini non stai con me”. Contro le “mummie” presenti al Megawatt di Stefano Parisi (al quale pure aveva dato il voto a Milano): “Non vogliamo recuperare qualcuno che è solo a caccia di poltrone”. E naturalmente contro l’Europa, l’euro e la Merkel.
Un campionario collaudato e dall’effetto garantito, ma non del tutto scontato soprattutto nell’attacco diretto a Silvio Berlusconi. Servi, schiavi: parole di fuoco per descrivere il rapporto che il Cavaliere vorrebbe con gli alleati/vassalli. Nel momento in cui la Lega dovrebbe rinsaldare l’asse con Forza Italia in vista del “no” al referendum istituzionale, e dunque nella prospettiva di dare una spallata al governo Renzi, ecco che Salvini torna a scavare il solco con il partner tradizionale del centrodestra.
Evidentemente il leader lepenista ha fiutato l’aria pesante che tira dalle parti di Forza Italia dopo la performance poco esaltante di Stefano Parisi. Salvini deve ricompattare la Lega Nord perché vuole rilanciare la vecchia “opa” sulla leadership del centrodestra, e non può farlo con in mano soltanto mezzo partito. Finché Berlusconi è sulla piazza continuerà a bruciare i possibili suoi eredi dopo averli lanciati. L’ex direttore di Confindustria è destinato a fare la stessa fine, essendo riuscito nella difficile impresa di non citare quasi mai il nome di Berlusconi in due giorni di lavori al Megawatt che dovevano rilanciare il centrodestra. Parisi è molto ridimensionato come un Monti o un Passera, i colonnelli azzurri esultano, il partito rimane nella palude in attesa del pronunciamento europeo sulla legge Severino. Terreno ideale per le incursioni salviniane.