Stavolta è difficile dare torto a Virginia Raggi. La sindaca di Roma è arrivata a Palermo alla convention dei 5 Stelle come una sgallettata, ballando come una groupie di Beppe Grillo mentre il servizio d’ordine se la prendeva con i giornalisti. È salita sul palco recitando un copione scritto da altri mentre il capo ritrovato cancellava il direttorio salvando soltanto Di Maio, Di Battista e — ovviamente — Casaleggio junior. Al microfono, sotto il diluvio, ha usato toni trionfalistici negando le divisioni interne e prefigurando improbabili conquiste d’Italia.
In tutta questa sconclusionatezza, tuttavia, la Raggi ha detto una cosa giusta: “È vergognoso che sia Renzi ad attaccarci, proprio lui che aveva detto che avrebbe rottamato tutti e che invece in questi due anni s’è seduto e ha fatto accordi con i Berlusconi, coi Verdini, coi Montezemolo, con i Malagò. Non ha rottamato nessuno, perché quelli con cui tratta sono quelli di sempre”. La sindaca autorevolmente ispirata ha messo il dito nella piaga: la difficoltà in cui si dibatte il premier è sintetizzata dalla meticolosità con cui se la prende con i grillini.
È vero che la Raggi non ha fatto granché da quando è al Campidoglio, ha sbagliato a nominare gli assessori, non ha dato una scossa all’amministrazione cittadina e forse ha perso un’occasione di rilancio rinunciando alle Olimpiadi. Ma chi l’ha preceduta ha fatto ben di peggio. Eppure da settimane l’informazione Rai e i grandi giornali regalano titoli a tutta pagina alle dimissioni degli assessori o alle Olimpiadi mancate, quasi fossero questi i gravi problemi dell’Italia. Alla Raggi non ne perdonano una, mentre le umiliazioni di Renzi in Europa e i guai dell’economia vengono passati sotto silenzio.
Renzi è stato escluso da un importante vertice Ue pochi giorni dopo aver sbandierato lo “spirito di Ventotene” in cui si era illuso di aver ereditato la poltrona “pesante” dei britannici nella stanza dei bottoni di Bruxelles. Le polemiche sulla flessibilità con i partner europei non agevolano le trattative. Il ministro Padoan ha dovuto riconoscere di avere sballato le stime di crescita del Pil e quindi di non avere margini per tagli di tasse nella prossima legge di stabilità. I sondaggi sul referendum restano negativi. Le apparizioni televisive del premier basate sulle memorie di “Happy Days” non aiutano a recuperare. Eppure sembra che l’ostacolo maggiore alla crescita venga dal “no” della Raggi ai Giochi olimpici, come se Roma li avesse avuti già in tasca davanti a concorrenti del calibro di Parigi e Los Angeles.
Cinque cerchi, cinque stelle e uno specchio: quello romano in cui Renzi vede riflessi tutti i nodi che non riesce a sciogliere. Ma il nodo maggiore, quello che il segretario Pd proprio non ce la fa a risolvere, è la tenuta del movimento 5 Stelle.
Perché i sondaggi non dicono soltanto che i No al referendum restano in vantaggio, ma anche che i grillini non crollano nonostante l’improvvisazione, la sprovvedutezza, l’impreparazione e la sfacciataggine di Virginia Raggi. L’elettorato grillino rimane compatto, non si sfalda, continua a credere ai dioscuri Di Maio-Di Battista, impazzisce per i voltafaccia di Grillo, si entusiasma per la sindaca che non raccoglie i rifiuti né fa arrivare puntuali i bus romani ma balla in piazza e manda a quel paese i poteri che volevano le Olimpiadi. Perché il “no” ai Giochi è l’ennesima sconfitta di Renzi che puntava su un altro grande evento (dopo Expo) per ricostruire la propria immagine.