Vasco Errani, neo commissario straordinario per la ricostruzione nelle zone terremotate, ha cominciato con il piede giusto: alla Renzi. Cioè con le promesse. “Entro sette mesi dovrete avere le casette — ha detto ai senzatetto di Amatrice —. Noi vogliamo lavorare partendo dai comuni e con le istituzioni”. Naturalmente il premier quanto a promesse è ineguagliabile: la settimana scorsa aveva fatto sapere che i prefabbricati in legno sarebbero stati pronti in tre mesi. Ora con Errani i mesi sono diventati sette. Primi di aprile. L’inverno, il primo inverno, il più duro, sarà già passato. E molti l’avranno trascorso nelle tende.
Quali benemerenze ha Errani per occuparsi di ricostruzione post-sisma? Sostanzialmente due. La prima è l’aver svolto il medesimo ruolo quattro anni fa quando le scosse colpirono la regione di cui era governatore, l’Emilia Romagna. La ricostruzione nelle zone sotto il Po procede a rilento, anche se la fortissima spinta di una popolazione abituata a lavorare senza guardare alle fatiche da affrontare ha rimesso in piedi quasi subito le attività produttive. Errani poteva fare di più e meglio dal 2012 a oggi? Sì. Ma le carenze sono state coperte dall’intraprendenza degli emiliani (senza dimenticare i lombardi del Mantovano).
Il secondo titolo di merito è di appartenere alla minoranza del Pd, e di essere disoccupato dopo avere dato le dimissioni da governatore per una faccenda di contributi generosamente elargiti alla coop rossa presieduta dal fratello Giovanni. Condannato in primo grado, Vasco è stato assolto in appello. Si parlava di lui come probabile ministro del governo Renzi, ma il premier nell’ultimo rimpasto gli ha preferito il montezemoliano Carlo Calenda come titolare dello Sviluppo economico.
Più che lo status di disoccupato, per Errani ha funzionato la collocazione interna al partito. E in questo momento Renzi ha tutto l’interesse a tenersi buona la minoranza interna al Pd in vista del referendum costituzionale, e molto più in vista del dopo-referendum. Il premier ha bisogno di allargare la base del Sì: valorizzando Errani il governo tenta di ammorbidire le asperità interne alla maggioranza. Renzi non ha scelto un funzionario dello stato per affrontare l’emergenza ma un politico. Non un prefetto o un dirigente addestrato nella Protezione civile, piuttosto uno dei personaggi più in vista del Pd dotato di una esperienza (limitata) nella gestione del post-terremoto.
La scelta di una figura più istituzionale era sollecitata dal centrodestra, che ha proposto Tronca (ex prefetto di Milano e commissario a Roma) o addirittura Bertolaso. Renzi ha tirato dritto. Ha preferito garantirsi sul fronte interno al partito piuttosto che consolidare l’offerta di aiuto — di profilo istituzionale — venuta dal centrodestra, in particolare da Silvio Berlusconi. Il messaggio del presidente del Consiglio è chiaro: se volete darci una mano in Parlamento, bene; ma l’opposizione non pensi di poter orientare le nostre scelte.
In questo momento Renzi ha bisogno di tranquillizzare i suoi: deve lasciare intendere che non è alle viste una riedizione del Nazareno in prospettiva referendaria. Ma la scelta di Errani evoca anche uno scenario post-referendum. Poniamo che vinca il No (cosa che accadrebbe se si votasse oggi): difficile che Renzi possa fare finta di niente. Il centrodestra potrebbe rientrare in gioco nel caso di crisi, anche solo nella forma dell’appoggio esterno. A quel punto l’eventuale Renzi-bis (che farebbe da ponte verso le elezioni del 2018) sarebbe in balia di Forza Italia. Anche in questo caso, aver scelto Errani fa intendere che Renzi non ha intenzione di cedere troppo terreno al centrodestra.
Berlusconi ha subìto. Nei prossimi giorni, quando Stefano Parisi scoprirà le proprie carte, si vedrà se il Cavaliere manterrà tesa la mano che ha offerto nei giorni scorsi.