Non è il primo artista ad annunciare un ritiro dalle scene che poi ritratta, ma a Hayao Miyazaki avevamo creduto nel 2013, dopo la realizzazione del magnifico Si alza il vento, forse perché quel film così personale ed elegiaco si prestava benissimo al testamento. Cosa avremmo detto allora se avessimo saputo che 10 anni dopo avrebbe realizzato un altro film, Il ragazzo e l’airone, ancora più autobiografico e intimo?
Il film, arrivato nelle sale italiane a Capodanno, dopo aver conquistato i botteghini internazionali e i premi del cinema, parte da un romanzo di Genzaburō Yoshino, “E voi come vivrete?”, da cui mutua titolo e qualche tema, per raccontare la storia di Mahito, un ragazzo che durante la Seconda guerra mondiale vede morire la madre per un incendio nell’ospedale in cui era ricoverata. Trasferitosi col padre in campagna, in compagnia della zia ora matrigna, vedrà la sua vita cambiata da un airone che lo porterà in un viaggio misterioso ma fondamentale.
Scritto come sempre in solitaria, disegnato in prima persona dallo stesso Miyazaki e animato dal team dello Studio Ghibli, Il ragazzo e l’airone è una avventura fantastica e onirica tipicamente miyazakiana, ma che dietro e oltre lo stupore e la meraviglia visiva e la fascinazione per le invenzioni grafiche nasconde un nucleo che la rende più difficile da digerire rispetto ad altre opere del regista.
Se il punto di partenza, l’assenza della madre per un lungo ricovero che segnò l’infanzia di Miyazaki, ritorna in almeno due film, ossia Totoro e Si alza il vento, qui prende un’altra strada, ovvero in questo caso (a differenza che nei precedenti e nella realtà) diviene un modo per affrontare il lutto e il posto che i defunti hanno nelle nostre vite e pensieri, ma soprattutto il posto che occupano nel mondo, aggiungendo un ulteriore tassello alla meravigliosa cosmogonia di demoni e Spiriti che compone l’immaginario dell’autore. Non è però un discorso puramente mitico quello del film, diventa un corpo a corpo con i propri pensieri, col proprio Io.
Il ragazzo e l’airone compie, e chiede a chi guarda di compierlo con lui, un viaggio nell’inconscio del regista, nelle radici del suo cinema, la scoperta di ciò che – diremmo psicanaliticamente se il termine non suonasse un po’ stonato nel contesto di riferimenti – fonda le visioni, le immagini, il senso del mistero e dello stupore al fondo dei suoi film. Un viaggio che prima dell’avventura contempla la comprensione, la riflessione accanto alla magia.
Per questo, il ritmo può sembrare più “faticoso” di altri suoi capolavori, l’andamento meno fluido, la narrazione meno fluida e libera: Miyazaki, cosciente o meno, sta facendo i conti con sé stesso, come se avesse fatto un film per sé e chiedesse al pubblico di accompagnarlo, con tutte le conseguenze del caso.
Se si accetta il rischio che comporta entrare nell’animo di un maestro, Il ragazzo e l’airone è un’altra di quelle esperienze che riempiono occhi e spirito, un regalo che Miyazaki ha realizzato come lascito al nipote. E di conseguenza, anche a noi.
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