Caro direttore,
nella settimana di Pasqua, TV 2000 ha riproposto Il risorto, un film del 2016 di Kevin Reynolds da un romanzo della nota scrittrice Angela Hunt. La vicenda  racconta di Clavio, tribuno militare, comandante della guarnigione romana di stanza in Giudea, che su ordine di Pilato si mette a cercare il corpo di Gesù il Nazareno, un condannato a morte che ha visto esanime appeso alla croce, perché i capi del Sinedrio hanno suggerito al procuratore che la salma è stata trafugata dai seguaci del profeta.



È un remake hollywoodiano de L’inchiesta, una pellicola del 1986 firmata da Damiano Damiani, che tra scene cruente, una buona dose di realismo e dialoghi incalzanti, ripropone  il tema dell’indagine da parte di un pubblico ufficiale romano su un morto che alcuni dicono resuscitato. La novità del film di Reynolds è che Clavio, dopo una lunga ricerca e l’incontro con i primo discepoli, trova Gesù, ma Lo incontra risorto e assiste all’Ascensione al cielo.



E qui sta il punto. Può un romano incontrare il Risorto? Avrebbe potuto, come fa il nostro tribuno, entrare nella cerchia dei primi discepoli e dialogare con Lui, mangiare, vivere con Lui? In altre parole, un gentile avrebbe potuto diventare un testimone visivo di Gesù risorto, essendo ignaro del senso profetico del popolo ebraico, della visione messianica e dell’Alleanza in Abramo? Sin qui la categoria della possibilità lascia aperta la risposta, ma dobbiamo anche chiederci: avrebbe potuto un romano, non preparato, come Gesù aveva fatto con i suoi – almeno per aver visto il cambiamento miracoloso del vivere, la sequela ininterrotta di prodigi e il compiersi delle scritture – sopportare l’impatto umano causato dalla resurrezione?



Avrebbe potuto cioè accettare ante litteram il paradosso paolino del discorso all’Areopago di Atene raccontato nel 17esimo capitoli degli Atti degli apostoli?  Gli intellettuali congedano Paolo con una forma di cortesia: “Ti ascolteremo su questo un’altra volta”. Ma un soldato romano, abituato alla spada più che al sillogismo, non avrebbe avuto altra possibilità che credere ai propri occhi. Si potrebbe però obiettare che Clavio ben documenta il percorso della ragione, un uomo che prende sul serio le proprie domande e che prima passa dalle testimonianze, poi davanti all’evidenza di Cristo risorto è onesto e Lo riconosce.

Il vangelo di Giovanni (20,29) propone la risposta al dubbio di Tommaso: “Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”, che precisa come Gesù si sia rivelato ai suoi “a porte chiuse”, per cui il metodo sembra chiaro. Dopo la Maddalena, gli apostoli sono i primi testimoni che Lo incontrano e dopo Gerusalemme si recheranno in Galilea, dove Lo vedranno di nuovo. Non possiamo dire se ci siano dei gentili tra il novero dei “più di cinquecento fratelli in una sola volta” a cui apparve, secondo la testimonianza posteriore della prima lettera ai Corinzi (1 Corinzi 15,6). Gli studiosi non segnalano la presenza di pagani tra coloro che hanno visto Cristo risorto; solo Paolo, ebreo con la cittadinanza romana, Lo ha incontrato sulla via di Damasco, ma la vicenda ha contorni di pentimento e conversione.

Ritornando al film possiamo dire che gli autori si sono presi delle eccessive libertà, non solo storiche, ma esegetiche ed ecclesiologiche. Permettendo a un pagano di vedere il Risorto, anzi l’Ascensione, negano la ragione stessa della Chiesa, che è apostolica, perché si basa sui testimoni, i quali, scelti all’inizio della predicazione, davanti alla Resurrezione del loro Messia devono fare tutto il percorso umano e collegare quello che avevano ascoltato e visto a quello che hanno davanti agli occhi. Questo sì che è un percorso che la ragione può fare, mettere cioè insieme il prima e il dopo, aiutati dal senso messianico del popolo a cui appartengono. È per noi comprensibile sentirli affermare di non aver capito tanti gesti e tante parole e di essere scappati nell’ora del Golgota. Dopo averlo rivisto possono credere ai propri occhi e alle proprie orecchie e quindi accettare di essere mandati. Inizia così la catena apostolica e tutti quelli che vengono dopo possono credere perché hanno visto un testimone. La Chiesa è una catena di testimoni, per cui un romano che vede di persona Cristo risorto (anzi, l’Ascensione), stravolge il criterio fondante della Chiesa: crede perché vede direttamente il Risorto, non assiste a una vita cambiata, non è colpito dalle parole e dal racconto di chi si è convinto che ciò che è accaduto è buono e vero per sé.

E non può mettere neppure in gioco la sua libertà, perché Dio si è rivelato nella sua potenza, quindi Clavio non è un “beato”, in quanto crede perché vede. In altre parole fa l’esperienza opposta a quella che Gesù raccomanda a Tommaso, per cui a un gentile non sarebbe stato possibile vedere il Risorto. Alla fiction possiamo perdonare le tante libertà del racconto, ma non si può accettare che il film di Reynolds neghi l’apostolicità della Chiesa, e non riconosca il valore del metodo dell’incontro, che è il principio fondante del cristianesimo.

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