È tornato Supermario. Ieri mattina Draghi si è presentato con la scorta alla Città ecosolidale della Comunità di Sant’Egidio al quartiere Ostiense di Roma, è sceso dall’auto, ha preso dei pacchi e li ha consegnati. I bene informati dicono che contenessero abiti, scarpe, oggetti vari da destinare a bisognosi. Un gesto di solidarietà qualche giorno prima di Pasqua, un atto di condivisione e vicinanza ai meno fortunati. E anche un modo per ricordare a tutti che l’ex presidente della Bce non si è ritirato a vita privata. La beneficenza si fa in silenzio – e Draghi non ha aperto bocca – ma non di nascosto. Soprattutto quando il governo in carica ti chiama in causa per una questione di un certo rilievo: i malfunzionamenti del Pnrr.



Mario Draghi era tirato per la giacca da giorni. Dai tam tam di palazzo si sapeva di una certa sua irritazione nel sentire che gli si attribuivano responsabilità nei ritardi delle opere finanziate dai fondi del Pnrr. Domenica Francesco Giavazzi, suo amico oltre che consigliere a Palazzo Chigi, è andato in tv da Lucia Annunziata a criticare l’operato dell’esecutivo Meloni, e molti hanno considerato quella a Giavazzi come un’intervista a Draghi per interposta persona. Repubblica ha pubblicato ieri un retroscena secondo il quale Giavazzi e Draghi hanno addirittura concordato le cose da dire e perfino lo stile: modi soft ma contenuti hard. Si è pure parlato di una telefonata tra Giorgia Meloni e il predecessore per tranquillizzarlo: il governo non ce l’avrebbe con lui, ma con l’Europa.



Insomma, l’ex premier sembra deciso a uscire dall’ombra per contestare lo scaricabarile sul Pnrr. In realtà, se avesse davvero voluto difendere fino allo stremo quanto fatto per mettere ordine nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, non avrebbe dovuto dare le dimissioni a metà dello scorso luglio. La narrativa dell’abbandono è stata abilmente costruita e fatta passare come uno schiaffo al sistema dei partiti che gli avrebbero impedito di governare. Ma era inevitabile che il Pnrr avrebbe subito una seria battuta di arresto con la campagna elettorale e il passaggio di consegne. Draghi però non è caduto in un’imboscata parlamentare: la crisi di governo è stata innescata da lui e ora non pare il caso che si atteggi a vittima della propaganda meloniana.



Potrebbe però essere che, magari su suggerimento di ambienti quirinalizi, Supermario si prepari a offrirsi come garante ultimo dei fondi Pnrr presso l’Unione Europea. Magari addirittura come capo di una gestione commissariale, con poteri accentrati in una cabina di regia romana. Il ritorno di Draghi a Sant’Egidio, nella veste del San Martino che condivide il proprio mantello con i poveri, potrebbe prefigurare ben altra discesa in campo.

È uno scenario che non giova all’immagine del governo di Giorgia Meloni. La quale in questi giorni si è ben guardata dal prendere posizione sulle polemiche attorno al Pnrr. Ha mandato avanti il fedelissimo ministro Raffaele Fitto a criticare Unione Europea e precedente governo, ma lei è rimasta zitta. Cosa pensa la premier dei ritardi, delle proroghe e del conseguente deterioramento dei rapporti con Bruxelles? Ma soprattutto, come vedrebbe l’affiancamento di Draghi come commissario per la gestione dei fondi europei? Domande al momento prive di risposte.

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