Se con il Chievo c’è stato un mezzo passo indietro, Juventus-Genoa rappresenta un passo indietro. Al di là del risultato. La vittoria e la conquista dei tre punti avrebbero solo lenito la delusione per una prova poco convincente. E’ mancata l’intensità, la rabbia, la determinazione e la fluidità di gioco che hanno caratterizzato le partite precedenti. La squadra di Malesani ha opposto corsa, dinamismo e un centrocampo giovane ma molto efficace (soprattutto nell’interpretazione del ruolo offerta da Veloso e Merkel) e per la prima volta dall’inizio del campionato la Juve si è trovata in apprensione. Non a caso il Genoa è la squadra che ha creato più tiri e occasioni da gol contro i bianconeri.
Dopo questa partita Conte deve correre ai ripari. Intanto sul modulo di gioco: con i rossoblù è parso molto evidente che il 4-2-4 è rischioso se applicato contro squadre dinamiche e manovriere. Partiamo proprio dal centrocampo. L’assenza di Vidal si è fatta sentire, soprattutto nella fase di pressing alto e di riconquista della palla. Marchisio, che è una mezza punta finissima, è costretto a uno sfiancante lavoro di tamponamento. Un lavoro che non può essere chiesto anche a Pirlo. Ecco perché la squadra con questo modulo si trova un po’ scoperta, rendendo più vulnerabile una difesa che ha nel solo Barzagli il puntello irrinunciabile. Storari ha pagato la ruggine della prolungata assenza dai campi di gioco (statico in troppe occasioni, anche se a pochi minuti dalla fine ha salvato il risultato sul tiro velenoso di Jorquera).
Lichtsteiner ci ha messo cuore, ma tatticamente è andato in affanno dovendo preoccuparsi sulla sua fascia di competenza della presenza di Palacio, giocatore pericoloso nelle sue incursioni. Bonucci e Chiellini, invece, hanno mostrato le incertezze e le ansie dello scorso anno. Molli e impacciati (Chiellini soprattutto in fase di impostazione: non può essere lui nel 70% dei casi a far partire l’azione). Emblematico il secondo gol del Genoa: un lancio lungo dalla trequarti, Chiellini si fa sovrastare da Kucka e Bonucci, che pure è in vantaggio sull’attaccante, si fa anticipare dalle lunghe leve di Caracciolo. A completare la frittata difensiva, poi, l’avventata e timida uscita dai pali di Storari. Fosse rimasto in porta si sarebbe ritrovato comodamente il pallone tra le mani.
Ma le note dolenti non si fermano alla difesa. Il gioco di Conte prevede un protagonismo e uno sfruttamento quasi parossistico delle fasce, soprattutto gli esterni alti, che hanno il compito di creare superiorità numerica saltando l’avversario nell’uno contro uno. Ebbene la Juve ha in rosa cinque interpreti diversi in questo ruolo: in ordine alfabetico, Elia, Estigarribia, Giaccherini, Krasic e Pepe. Quest’ultimo conferma un’abnegazione e uno spirito di sacrificio al limite della trance agonistica davvero notevoli, ma nel saltare l’uomo e nel crossare ancora siamo sotto livelli accettabili. E gli altri? Con Giaccherini infortunato, Conte ha dato una chance al paraguayano Estigarribia. Buona corsa, buona predisposizione alla fase di copertura, qualche buon dribbling e un paio di cross interessanti. Però resta il fatto che nessuno degli interpreti chiamati finora in causa ha saputo svolgere il compito come si deve.
Anzi, Krasic sembra entrato in un cono d’ombra davvero preoccupante: sbaglia i tocchi più facili, non corre, non scatta, non aggredisce, si isola ai lati, quasi volesse estraniarsi e non prendere l’iniziativa. Ma resta una risorsa che la Juve non può rischiare di perdere. Come risolvere allora il problema delle fasce? A questo punto varrebbe la pena riprovare Elia o puntare su Quagliarella: ha gamba, fantasia, dribbling, tiro e spregiudicatezza quanto basta per calarsi nel ruolo.
Passiamo ora all’attacco? Matri ha fatto il suo dovere: è un centravanti d’area, ricorda Trezeguet per il fiuto del gol e per la capacità di vedere la porta (non a caso ha segnato una doppietta e ha costretto Frey a un paio di interventi risolutivi). Vucinic, invece, ha iniziato troppo molle, un po’ svagato e indolente. E’ un difetto che deve correggere al più presto. E Del Piero?
Ha passato una settimana difficile, ma come in tutta la sua carriera non ha fatto polemiche, ha gioito ai gol della sua squadra e ha imprecato quando a segnare è stato il Genoa. In questo campionato (l’ultimo con la maglia bianconera) potrebbe davvero diventare l’Altafini della Juve di Conte, un giocatore da 20-30 minuti finali. Ma non può e non deve essere messo in campo come Rivera nella finale di Messico ’70: ieri come allora un ingresso troppo tardivo (tutti e due hanno giocato solo sei minuti).
Ora incombono Fiorentina e Inter, due partite “speciali” per tante ragioni. Una settimana decisiva per il futuro della Juve, per superare la sindrome da pareggio e ritrovare vittoria ed entusiasmo, come è già successo con il Milan. Conte deve trovare la quadra per garantire la giusta copertura alla difesa, rendere più imprevedibile e arrembante lo sviluppo del gioco e dare più consistenza e pericolosità all’attacco.
Senza trascurare la condizione atletica: il suo gioco è dispendioso e contro il Genoa la squadra è andata a corto di ossigeno. Dopo sette partite, la squadra ha avuto bisogno di tirare un po’ il fiato o è già suonato un campanello d’allarme? Domani con i Viola ci sarà la prima probante risposta.