Conte cercava la Juve e la Juve si è fatta ritrovare, soprattutto nel primo tempo. Forse, dopo l’appassionante partita vinta con il Milan, ieri si è ammirata la Juventus più bella, intensa, aggressiva e imprevedibile vista finora. Nei primi 45 minuti, complice onestamente la suicida disposizione tattica voluta da Mihajlovic, c’è stata in campo una sola squadra. Possesso di palla stile Barcellona (a tratti Pirlo-Marchisio-Vidal-Vucinic sembravano Xavi-Iniesta-Busquets-Messi), fraseggio stretto, occupazione degli spazi, anticipi folgoranti, inserimenti fulminei e pressing asfissiante a tutto campo hanno garantito ai bianconeri una supremazia totale. I tanto temuti Jovetic e Cerci sono stati annullati e sovrastati da Barzagli, sempre più novello Montero di questa difesa, e da un ritrovato Chiellini, che ha giocato con maggiore tranquillità e convinzione.
La nota più positiva, oltre al fantastico primo tempo (dove è mancato solo il gol della maggiore tranquillità), è stata la reazione della squadra dopo il pareggio viola. E’ sembrato che la Juve volesse scrollarsi di dosso la “sindrome da pareggite” che l’ha accompagnata nelle sue ultime uscite. Era pressochè impossibile che la Fiorentina tornasse in campo svogliata, abulica e inerme e non si svegliasse dal suo quasi rassegnato torpore.
Però a inizio ripresa la Juve, che forse doveva aspettarselo, si è invece fatta un po’ sorprendere. Anzi, dopo la parata di Storari sul colpo di testa di Jovetic in seguito a un calcio d’angolo, almeno fino al gol del pareggio la squadra di Conte è sembrata impaurita. L’ingresso di Gilardino e il passaggio al 4-4-2 hanno certamente favorito la riscossa dei viola, cui la Juve non riusciva più a opporre la stessa determinazione messa in vetrina nei primi 45 minuti.
Dopo il pareggio, però, un attimo di sbandamento e di scoramento (e in queste occasioni lo Juventus Stadium anziché ammutolire dovrebbe far sentire ancora più forte il proprio incitamento), poi la reazione, frutto più di nervi e di carattere che di un gioco brillante: non c’era più la veemenza e l’ordine tattico del primo tempo, ma è bastato per ribaltare l’inerzia della partita.Un altro punto positivo da sottolineare è il ruolo sempre più strategico che ricopre Vidal. Con il cileno in campo Conte può disporre di una buona alternativa nel caso in cui gli avversari – come è successo ieri e come molto presumibilmente continuerà a succedere nelle partite a venire – pressino a tutto campo Pirlo.
E con Vidal in campo, che garantisce una linea di pressing più alta, anche Marchisio si ritrova più libero di dare sfogo alle sue incursioni e alle sue sgroppate.Presi i tre punti che riportano la Juve momentaneamente in testa, tutto è bene quel che finisce bene? Non del tutto. Le note dolenti sono sostanzialmente tre.La squadra quando viene aggredita tende a perdere gli equilibri, non si compatta velocemente, traballa, come se avesse bisogno di tempo per prendere le contromisure. In parte è dovuto al fatto che tenere i ritmi imposti da Conte per 90 minuti è praticamente impossibile. Ogni tanto bisogna rifiatare, ma in quei momenti di rilassatezza la squadra non può cedere troppo campo e troppa iniziativa agli avversari. C’è la tendenza a esagerare con le finezze e i colpi di tacco. La Juve in certi momenti (e sono troppi) diventa leziosa.
Si specchia narcisisticamente in ghirigori inutili e controproducenti: se vanno a buon fine strappano applausi, altrimenti mettono a dura prova la pazienza (e le coronarie) dei tifosi. Va bene usare il fioretto, ma i colpi di sciabola, quando servono, hanno la loro efficacia.Conte in panchina dimostra di avere le idee chiare, è capace di cambiare modulo (ieri ha finito con un inedito 5-4-1 dopo gli innesti di De Ceglie e Pazienza), tiene in pugno il gruppo e tiene alta la concentrazione.
Però sembra non avere lo smalto di un Lippi: grande allenatore, testardo nelle sue convinzioni, ma bravissimo anche a rivoltare la squadra quando la necessità lo imponeva. Conte non dimostra la stessa spregiudicatezza. Riflette, pondera, medita. Ma certe decisioni e certi cambi vanno fatti più contando sul fiuto e sull’azzardo che sul freddo raziocinio. Con la Fiorentina era evidente che Vucinic si stava lentamente spegnendo ed Estigarribia (o Quagliarella) avrebbe dovuto essere messo in campo prima.
A proposito di Quagliarella, Conte ha detto che “arriva da un brutto infortunio, si sta riprendendo e giocherà quando mi dimostrerà di essere il migliore”. L’anno scorso è stato il giocatore che più ha garantito i giusti equilibri alla squadra di Del Neri e finchè è stato arruolabile ha fatto sì che la Juve restasse nel drappello di testa. Dopo l’infortunio con il Parma, senza di lui la squadra non seppe più ritrovarsi e piano piano scivolò all’ingiù. Ora arriva l’Inter, “la” partita dell’anno. Conte lo sa, che non può sbagliare né perdere. Una vittoria contro i nerazzurri vale più di tre punti. E un pensierino a Quagliarella forse gli conviene farlo.