Per gli juventini e per la Juve era “la” partita ed era “la” partita da non perdere, anche se si giocava in trasferta. Missione compiuta. Un ruggito a San Siro degno della migliore tradizione della Metro Goldwyn Mayer. Resta valido l’invito di Conte a non essere troppo provinciali (“Inter-Juve vale tre punti – ha dichiarato in settimana -: a che serve vincere se poi si arriva settimi? Sprovincializziamoci un po’”), ma il successo al Meazza contro i campioni del mondo in carica conserva un sapore particolare. Sono tre punti che fanno bene alla juventinità e al morale. Oltretutto dalla partita sono emerse due caratteristiche nuove che potrebbero rivelarsi altrettante carte vincenti per la Juve nel proseguio del campionato: primo, è stata vinta una partita difficile senza l’apporto di Pirlo; secondo, Conte è tutt’altro che un talebano degli schemi tattici, capacissimo di andare ben al di là del suo collaudato 4-2-4.
Partiamo dal primo punto. Si diceva – e si continuerà a dire – che la Juventus è troppo Pirlo-dipendente. Vero, come è vero che il Milan è Ibra-dipendente, l’Inter è Sneijder-dipendente o l’Udinese è Di Natale-dipendente. Giocatori imprescindibili, sia dal punto di vista tattico che dal punto di vista della capacità di imprimere svolte decisive alle partite. Pirlo è così: catalizza tanti palloni, detta i tempi di gioco, disegna le traiettorie, fa salire o riposare la squadra, è un punto di riferimento sicuro se si vuole mettere in cassaforte il pallone, se si vuole uscire da una situazione complicata o se si vuole inventare qualcosa di imprevedibile.
Ebbene, contro l’Inter Pirlo era stanco (lo si vedeva a occhio nudo da come caracollava in mezzo al campo), non era tranquillo e olimpico come in altre occasioni perché aveva in corpo una voglia di rivalsa, di dimostrare chissa che cosa, di “vendicarsi” di qualcosa (qualche ruggine legata a derby giocati negli anni passati?) e, last but not least, è stato ben ingabbiato dal pressing vincente dei nerazzurri. Morale della favola: a parte il lancio ficcante per Marchisio lanciato a rete, su cui Castellazzi è poi intervenuto causando un calcio di rigore che solo l’arbitro Rizzoli non ha visto e fischiato, per il resto ha sbagliato la maggior parte dei passaggi ed è stato il “peggior” Pirlo a memoria d’uomo. 
In dieci anni di Milan quante volte i tifosi rossoneri lo hanno visto così in ribasso? Immagino che per il conteggio bastino le cinque dita di una mano. Dunque, evento raro che si ripeterà solo a distanza debita di tempo. Ma la squadra di Conte ha saputo sopperire a questo pesante deficit di fosforo e di geometrie in mezzo al campo. Come? Grazie, da una parte, all’abnegazione di un Vidal che copre fette di campo inimmaginabili ed è capace di rincorrere qualsiasi avversario. Ma soprattutto grazie alla splendida maturazione di un talento puro come Marchisio: corre, pressa a tutto campo, si inserisce, recita da spalla ma anche da protagonista, raddoppia sui compagni in difficoltà. Davvero immenso. Una prestazione al Meazza da incorniciare, soprattutto per il gran gol e per il possibile raddoppio (il mancato rigore dimostra comunque che le squadre forti sanno vincere anche senza penalty non concessi…).

Quanto al secondo punto, Conte si sta rivelando un allenatore con i fiocchi. Innanzitutto per la sua capacità di tenere alta la concentrazione della squadra senza stressare i giocatori (in trance agonistica finiscono solo Pepe e Chiellini, ma è anche una questione di generosità comportamentale, in secondo luogo per aver umilmente capito che con i giocatori a disposizione (soprattutto dopo gli acquisti di Pirlo e Vidal) il 4-2-4 non era la soluzione migliore. E così ha virato su un modulo che oscilla tra il 4-1-4-1, il 4-2-3-1 e il 4-3-3. Tutti intercambiabili durante la stessa partita. In questo modo la Juve ha trovato una sua identità ben precisa.
Peccato che, come nella partita con il Genoa e con la Fiorentina, anche contro l’Inter la Juventus abbia mostrato due difetti da correggere subito: un’eccessiva leziosità (ogni colpo di tacco è un colpo al cuore dei tifosi) e una mancanza di cinismo, non solo sotto porta ma anche in certi momenti della partita, quando sarebbe il caso di addormentare il gioco e di nascondere il pallone, invece la squadra ne perde il possesso, difetta di grinta e si ritrova a soffrire le ripartenze degli avversari. Un doppio limite su cui Conte dovrà lavorare.
E i singoli? A parte i tre centrocampisti, Pepe è il solito motorino instancabile (ma talvolta deve frenarsi un po’), Matri è sempre più un centravanti alla Boninsegna (splendida tra l’altro la sua apertura di gioco “ritardata” su Lichtsteiner in occasione del vantaggio di Vucinic), Bonucci sembra aver acquistato maggiore sicurezza, Barzagli ha la forza di un Bercellino e la grinta di un Montero, Estigarribia sta crescendo.
La nota stonata di questa partita, a parte Pirlo, è stato un altro senatore della squadra: Buffon ha preso l’ennesimo goal sul suo palo e anche sul colpo di testa di Pazzini non è parso reattivo come nei tempi migliori. Speriamo che si riprenda appieno.
Del Piero? Beh, il Capitano è sempre il Capitano: si è divorato un goal che era già apparecchiato e cotto a puntino, ma negli ultimi dieci minuti ha fatto un dribbling di magia e si è procurato cinque-falli-cinque che hanno dato respiro alla squadra e tolto ritmo e certezze all’Inter, impegnata nello sforzo finale per arrivare al pareggio. Dunque, Del Piero promosso con un piccolo “meno meno” per la rete (della tranquillità) mancata.