“Soffri e sii grande!”. Bisogna ricorrere all’Adelchi di Alessandro Manzoni per commentare questa importantissima vittoria contro la Lazio, un successo ottenuto contro un’avversaria diretta nella rincorsa alla Champion’s League (non bisogna mai dimenticare che dopo due settimi posti arrivare nei primi tre sarebbe un traguardo eccellente). I tre punti conquistati all’Olimpico sono il frutto di una gara sofferta, dove abnegazione, capacità di fare quadrato e spirito di sacrificio hanno pesato di più rispetto alla brillantezza di gioco.

Chiariamo subito, però, una cosa: la Juve, che pure a tratti è stata anche schiacciata e soverchiata da una Lazio che ha speso il 200% delle sue energie fisiche e nervose, ha meritato di vincere e non ha rubato nulla.

Il perché è presto detto. Finora la squadra di Conte aveva interpretato le partite come l’arrembaggio dei pirati ai grandi galeoni: furore agonistico, pressing asfissiante e smania di strappare il più in fretta possibile il pallone dai piedi degli avversari. E’ andata così soprattutto con il Milan e con la Fiorentina. Come se questo fosse il “marchio di fabbrica” della Juve firmata Conte. Invece con la Lazio si è visto qualcosa di nuovo, di inedito, di straordinario. In una parola, la capacità di resistere mentalmente, come squadra, come assetto, come tenuta psicologica, agli assalti degli avversari.

Infatti cosa si è visto in campo, soprattutto nella parte centrale del secondo tempo? Gonzalez spesso riusciva a sgusciar via a Marchisio (e il Marchisio di questi tempi sta giocando su livelli esaltanti); Hernanes reggeva alle “sportellate” di Vidal, uscendone spesso vincitore (non a caso il brasiliano ha tirato nove volte verso la porta bianconera); Klose portava scompiglio nella coppia centrale, infilandosi efficacemente tra Bonucci e Chiellini. Tre giocatori della Lazio che hanno mostrato tutto il repertorio migliore delle loro migliori capacità, creando una superiorità numerica che avrebbe potuto recare danni pesanti alla Juve. E invece la squadra di Conte ha retto, ha fatto da frangiflutti, ha serrato le fila, non si è mai fatta prendere dal panico, non si è mai scomposta, evitando così di consegnarsi e di sottomettersi alle incursioni avversarie. Segno che oltre al gioco, ora la Juve ha anche un cuore, un’anima, un’identità di gruppo.

Gli esempi più eclatanti? Pirlo, pur menomato da un problema al ginocchio e già diffidato, doveva sì tirare indietro la gamba nei contrasti più duri, ma mai ha abbandonato la sua postazione davanti alla difesa, sacrificandosi in raddoppi e rincorse e gestendo con maestria anche i palloni e le situazioni più complicate. Oppure Lichtsteiner: quando ha potuto non si è sottratto alle incursioni, ha pure sfiorato il gol, ma soprattutto non ha mai esitato a chiudere con perfette diagonali quando i due centrali venivano messi in difficoltà dai tagli e dagli inserimenti di Klose o di Rocchi. O ancora, Vucinic: troppo lezioso e molle davanti (splendido però il lancio con cui smarca Matri in occasione del gol), ma quando si è trattato di inseguire Konko è sembrato a tratti di rivedere il miglior Ravanelli dei tempi di Lippi.

Tre esempi di come oggi la squadra di Conte stia crescendo anche come consapevolezza, volontà di aiutarsi a vicenda, autostima che non sconfina in supponenza ma si traduce in umiltà. E forse questo è uno dei passi avanti più difficili da fare per una squadra che voglia puntare a grandi traguardi. Capire la forza dell’avversario (e alla Lazio bisogna fare i complimenti per l’intensità e il gioco espressi), resistere alla sua dimostrazione di forza, saper aspettare, saper gestire le difficoltà, senza però rinunciare alle proprie virtù.

Intanto la faretra della Juve di Conte, domenica dopo domenica, si arricchisce di nuove frecce. Buffon, per esempio, si è riconfermato: contro il Palermo tre interventi decisivi, con la Lazio due super-paratone su Rocchi (la seconda decisiva). Pepe ormai è una garanzia, per quantità e qualità. Matri sta giocando alla Boksic, macinando chilometri: nel primo tempo si è addirittura portato a spasso da solo per mezzo campo l’intera difesa della Lazio, senza farsi rubare il pallone, anzi arrivando addirittura alla conclusione perché la squadra non era riuscita ad alzarsi e a seguirlo. E poi non si può non menzionare Barzagli, che non fa rimpiangere i grandi difensori bianconeri del passato oppure Chiellini, che ha rispolverato la grinta dei tempi migliori.

Ora sotto con il Napoli. Con la stessa mentalità. E anche se mancherà Marchisio, al San Paolo proviamo a lanciare un altro bel ruggito al campionato.