Sembrava facile, in realtà quella contro il Cesena allo Juventus Stadium era una partita molto difficile. Per tanti motivi. Innanzitutto, la Juve veniva da due partite mentalmente e fisicamente molto stressanti. Contro la Lazio i bianconeri hanno dovuto fronteggiare un vero e proprio assalto all’arma bianca, mentre al San Paolo,  dopo un primo tempo molto difficile, sono riusciti a riagguantare gli avversari per ben due volte e sotto di due gol. Un dispendio di energie notevole. Logico e normale attendersi una sorta di rilassamento mentale e fisico, visto che si giocava al cospetto – con tutto il rispetto dovuto ai romagnoli – di una squadra considerata “minore”. In secondo luogo, era la prima volta che la Juve doveva rinunciare al suo faro, al suo metronomo: anche in situazioni complicate e pur leggermente menomato Pirlo aveva dimostrato di avere in pugno il gioco della Juve, trasmettendo serenità ai compagni, consapevoli di avere sempre la possibilità, passando a lui il pallone, di metterlo al sicuro. In terzo luogo, c’era la pressione psicologica legata alle prestazioni vincenti e convincenti del Milan – venerdì sera contro il Genoa – e dell’Udinese, la sera prima capace di domare l’Inter al Meazza.

In 90 minuti, come sempre giocati a gran ritmo, la Juve ha spazzato via i dubbi, per l’ennesima volta. Il rilassamento dopo due partite agonisticamente logoranti? Non si è avvertito. La squadra non ha esitato a schiacciare il pedale dell’acceleratore. La migliore dimostrazione della sua netta superiorità arriva da due numeri: la Juve ha tirato in porta dieci volte in più dei suoi avversari (20 conclusioni contro 2) e ha mantenuto un possesso palla più che doppio rispetto al Cesena (37 minuti abbondanti contro 15). L’assenza di Pirlo? Brillantemente superata, grazie prima di tutto a Vidal: il cileno non solo ha cercato incessantemente di costruire gioco, oltre a rubare come sempre decine di palloni in pressing, ma anche ha dettato il passaggio filtrante a Marchisio per il primo gol juventino, ed è il secondo assist geniale dopo il chirurgico diagonale perfetto per smarcare Matri contro il Napoli. Ma un contributo decisivo lo ha dato anche il debuttante (dall’inizio) Pazienza: l’ex napoletano, accogliendo in pieno il consiglio di Conte (“Non fare il vice Pirlo, ma gioca come sai: è già abbastanza”), ha messo in campo intensità, buon senso tattico, umiltà e buona predisposizione sia al fraseggio che all’apertura sulle fasce (anche se nel primo tempo la Juve finiva troppo spesso con l’intestardirsi negli inserimenti centrali, allargando poco la manovra). La pressione psicologica di Milan e Udinese? “Non ti curar di loro e passa” direbbe Dante, e così la Juve ha fatto: insomma, ha giocato la solita partita casalinga, tutta ritmi frenetici, pressing feroce, scambi fitti e dominio territoriale. E il carrarmato bianconero (ben raffigurato dalle calate lanzichenecche di Lichtsteiner e dalla propulsione continua di Pepe) non si è fermato neanche davanti al brutto incidente del suo capitano e leader indiscusso Del Piero.

Se un difetto va trovato alla squadra di Conte è che macina gioco in quantità industriali, ma in fatto di gol ne ricava un contenutissimo distillato. Contro il Cesena ci sono voluti una magia di Marchisio e un rigore che – francamente – è stato assegnato con troppa precipitazione e generosità. Si tratta comunque del primo penalty a favore e non è affatto uno scandalo che la Juventus abbia arrotondato il punteggio con questa “svista”: probabilmente la velocità dell’azione ha tratto in inganno l’arbitro, che non ha notato la respinta di Antonioli, ha visto la palla ricadere verso la porta cesenate e Giaccherini crollare malamente a terra dopo l’impatto.

Archiviata Cesena anche con la buona prestazione di Bonucci (avvio un po’ timido e spericolato, ma poi si è registrato su livelli compatibili con quelli di super-Barzagli), con il solito Vucinic tutto genio e sregolatezza, con i buoni miglioramenti di corsa e di dribbling di Quagliarella e con un insolito…

Matri dalla mira sbilenca, la tredicesima partita degli InContentabili ha confermato la costante crescita del gruppo. Il gioco per buoni tratti si sviluppa con preziosa fluidità, il movimento è corale (il Cesena si difendeva anche in sei davanti alla propria area di rigore), la spinta è costante, la grinta è ormai un Dna acquisito.

Ora tocca alla Roma, squadra ferita e ancora alla ricerca di un progetto, ma resta comunque un’avversaria storica e l’Olimpico un campo tosto. Ci sarà da soffrire e da ruggire.